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Diritto di critica | December 2, 2024

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Benzina alle stelle, la folle corsa non risparmia gli Stati Uniti - Diritto di critica

Benzina alle stelle, la folle corsa non risparmia gli Stati Uniti

E’ considerato uno degli indicatori più importanti dell’economia di un paese e non potrebbe essere altrimenti anche negli Stati Uniti. Se da noi il prezzo della benzina tocca livelli record, sfiorando il tetto dei 2 euro, in America il prezzo del carburante è storicamente inferiore, pur facendo registrare impennate significative: + 25 centesimi dall’inizio del 2012, con un costo medio al gallone (3,7 litri) che oscilla intorno ai 3,78 dollari (2,85 euro). Il prezzo più alto dall’inizio dell’anno, un dato allarmante se si considera che l’inverno è la stagione in cui il costo della benzina dovrebbe essere più basso (il freddo e la brutta stagione limitano le vacanze). Con l’economia statunitense che si sta rafforzando e la situazione incerta nel resto del mondo, soprattutto in paesi come l’Iran e nei produttori di petrolio in Medio Oriente, gli analisti ammoniscono che la situazione potrebbe essere più critica già nei primi mesi estivi, toccando quota 4 dollari a gallone.

Nulla al confronto dell’Italia, dove ieri le associazioni dei consumatori hanno chiesto un intervento del governo sulle accise per calmierare i prezzi della benzina. La differenza con gli Stati Uniti è evidente: basti pensare il costo per 1 litro di carburante è di 0,75 centesimi (0,93 euro), circa la metà rispetto all’Italia. L’aumento dei prezzi della benzina rappresenta una grande problematica durante la campagna elettorale che precede le elezioni americane di quest’anno, così come fu nel 2008. Il  candidato repubblicano Newt Gingrich ha già dichiarato che se diverrà presidente degli Stati Uniti, ancorerà l’importo di un gallone di benzina a 2.50 dollari o meno. Gli altri candidati alla Casa Bianca accusano Obama di non aver fatto molto per mantenere i prezzi del carburante a un livello basso.

Durante l’attuale amministrazione, dal 2009 gli Stati Uniti hanno assistito a una cavalcata dei prezzi che ha portato la super a costare 3,78 dollari, circa due dollari in più rispetto al 2009 con un incremento del 95%. Obama ha dovuto fare i conti con la recessione globale e la contrazione dei consumi. Ora che gli Stati Uniti sembrano in ripresa, anche il prezzo della benzina è aumentato. Le promesse dei candidati alla Casa Bianca sembrano boutade più che reali misure economiche da adottare nel prossimo futuro. Durante la presidenza Obama, la produzione interna di petrolio è aumentata, grazie soprattutto alle nuove riserve in stati come il North Dakota. Il presidente americano ha introdotto regole più severe nel settore petrolifero, dopo il disastro della Deepwater Horizon, e anche questo potrebbe aver inciso sull’aumento dei prezzi.

Obama ha bloccato l’oleodotto Keystone XL, che avrebbe permesso il trasporto di 800mila barili al giorno grazie alla lavorazione delle sabbie bituminose. E’ proprio questa la nuova frontiera nella produzione di petrolio, ma foriera di pesanti danni ambientali secondo gli esperti. La gigantesca pipeline, lunga 3.500 chilometri, per il momento non si farà e la TransCanada, l’impresa costruttrice, dovrà pazientare in attesa dei permessi per realizzare la mastodontica opera. I prezzi del carburante, in realtà, sono aumentati perché l’economia americana è in ripresa, mentre in Europa la situazione è stagnante.

La Cina utilizzerà il 5% in più delle riserve nel 2012. L’Iran, tuttora, esporta 2,2 milioni di barili al giorno che rappresentano una minima parte del petrolio a livello mondiale (89 milioni di barili complessivi). Nel caso di un attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani, l’impatto sul prezzo del petrolio potrebbe essere significativo. Nella sua strategia di rielezione alla Casa Bianca, Obama non sembra puntare molto sulla riduzione del prezzo della benzina. L’efficienza energetica rappresenta uno degli obiettivi del presidente americano. L’affidarsi a forme di energia alternativa rappresenterebbe, infatti, uno scudo contro le speculazioni petrolifere dettate soprattutto dai paesi del Medio Oriente. Una necessità che i politici repubblicani sembrano sottovalutare.

 

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