E la guerra dei diamanti in Sierra Leone ha un colpevole - Diritto di critica
«Giustizia è fatta!». Questo il grido che si è levato ieri dalle strade di Freetown, capitale della Sierra Leone, quando la Corte speciale delle Nazioni Unite per la Sierra Leone istituita all’Aja ha dato lettura della sentenza a carico dell’ex presidente della Liberia Charles Taylor: colpevole. A suo carico c’erano undici capi d’imputazione, tra i quali crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che facevano riferimento al suo ruolo di appoggio e approvvigionamento ai ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito (Ruf) durante la guerra civile che ha insanguinato la Sierra Leone dal 1991 al 2001, in quella che è considerata una delle pagine più feroci della recente storia africana.
Il processo contro i responsabili delle atrocità commesse durante la guerra civile era stato inaugurato nel 2004 dal presidente della Sierra Leone Tejan Kabbah. Dopo otto anni, l’ex presidente e signore della guerra liberiano Charles Taylor è stato ritenuto colpevole di tutto gli undici capi d’accusa di cui era imputato, e cioè omicidio, violenza, atti di terrorismo, stupro, atti disumani, schiavitù sessuale, oltraggio alla dignità personale, reclutamento di minori, altre violenze, riduzione in schiavitù e razzie. Taylor ha avuto dunque un ruolo chiave nel sostegno dato ai ribelli sierraleonesi e nei crimini da essi commessi, ma secondo il Tribunale Speciale delle Nazioni Unite non ha mai esercitato un ruolo di comando nel movimento di guerriglia: la leadership del Ruf è infatti rimasta per tutta la durata della guerra civile nelle mani di Foday Sankoh, che «non prendeva ordini da Taylor» ha letto il giudice Richard Lussick, nella sentenza che è stata trasmessa in diretta tv a Freetown. Non solo: le armi fornite da Taylor ai ribelli del Ruf sarebbero state ottenute in cambio di diamanti, una delle principali e più ambite ricchezze minerarie della Sierra Leone. Alcuni di essi sarebbero anche stati donati dallo stesso Taylor alla modella Naomi Campbell, come lei stessa ha confermato in una deposizione alla Corte dell’Aja datata agosto 2010.
La sentenza ha ricevuto un plauso pressoché unanime dall’Unione Europea, gli Stati Uniti, le Nazioni Unite e le varie organizzazioni internazionali impegnate sul fronte dei diritti umani. Essa infatti «rappresenta un successo importante per questa corte ed una pietra miliare nella lotta contro l’impunità» ha infatti commentato Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, mentre per il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon «si tratta di un segnale forte a tutti i leader che sono e saranno ritenuti responsabili per le loro azioni». Anche per Amnesty International il verdetto di colpevolezza emesso nei confronti di Charles Taylor «porta un po’ di giustizia alla popolazione della Sierra Leone e manda un segnale importante: non conta chi sei e quale posizione occupi, la giustizia ti chiederà di rispondere dei tuoi crimini. E’ un verdetto che ricorda anche alle autorità liberiane la necessità di processare Taylor per i crimini commessi nel suo paese, durante la sua presidenza». Tuttavia l’organizzazione umanitaria sottolinea anche come Taylor sia solo «la punta dell’iceberg: migliaia di persone sospettate di crimini commessi nel conflitto del 1991-2002 in Sierra Leone non sono mai state processate né indagate».Dopo il processo di Norimberga, non era più successo che un ex capo di Stato fosse giudicato da un tribunale internazionale mentre era ancora in vita: la pena di Taylor – rimasto in carica come presidente della Liberia dal 1997 al 2003 – verrà resa nota solo a fine maggio e sarà scontata in un carcere britannico.
Il conflitto armato che dal 1991 al 2011 ha lacerato il Paese è stato caratterizzato infatti da importanti abusi di diritti umani su larga scala: la mutilazione di mani e piedi ai civili con il machete è stata una delle pratiche più utilizzate dai ribelli del Ruf, insieme allo stupro sistematico ed al reclutamento di baby-soldati, in particolare bambine. La guerra civile ha lasciato una pesante eredità anche in termini di infrastrutture e danni alla proprietà ed un bilancio tragico in termini di vite umane: circa 50mila le vittime, migliaia le persone rapite, mutilate, torturate e più di un milione e mezzo tra sfollati e rifugiati. Con la condanna di Taylor «una piccola parte delle migliaia di vittime che portano ancora oggi le terribili cicatrici del conflitto hanno ricevuto una riparazione, elemento essenziale per ottenere giustizia e poter ricostruire le loro vite», ha concluso Amnesty.