Carceri, la vergogna dell'Italia
Non si può tenere una persona reclusa in meno di 3 metri quadrati. Non si può chiedere ad un carcere da 1000 posti di ospitare 1300 detenuti, non si può immaginare un personale penitenziario al di sotto dei limiti minimi per la sorveglianza. Per questo la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo condanna l’Italia, stabilendo che il nostro Paese “viola i diritti fondamentali dell’uomo”. Abbiamo un anno per cambiare e tornare un paese civile.
Le cifre. 21mila detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare, settemila agenti carcerari mancanti all’appello. Son dati durissimi, ma non bastano a rendere l’idea di un sovraffollamento assurdo nei nostri “istituti di pena”: allora contiamo i suicidi, 753 in dodici anni (il neonato 2013 ne ha già registrati 2), con un tasso di incidenza di nove volte superiore a quello tra persone libere. Mancano le strutture carcerarie per tener dentro tutti: mancano i secondini per la sorveglianza – e si arriva a negare l’ora d’aria, o a ridurla in uno stanzone chiuso. Non ci sono i fondi, da un decennio, per le carceri: e non c’è la volontà politica per risolverne gli errori di fondo.
E il Piano Carceri? Il Piano Carceri vagheggiato dagli ultimi 5 governi non è mai nato. Come spiega bene Fabrizio Fratini, segretario nazionale degli agenti penitenziari Cgil, “negli anni sono state annunciate aperture di nuove strutture che per mancanza di personale non possono funzionare, al di là della costruzione delle mura”. Addirittura, non ci sono abbastanza uomini per garantire le scorte, spesso al di sotto degli organici previsti: e almeno tremila agenti formati per lavorare in carcere viene distaccata ai ministeri (una sottrazione netta del 10% sul totale), con compiti amministrativi non essenziali.
I governi. A sinistra, Prodi tentò di risolvere la situazione con l’indulto, dopo aver tagliato il tagliabile e riconfermato per 10 anni il discusso Giovanni Tinebra al vertice dell’amministrazione penitenziaria. La destra di Fini, Bossi e Maroni aumentò il numero di detenuti oltre l’immaginabile, con l’invenzione del reato di immigrazione clandestina e l’aumento delle pene detentive. Con la morte, quasi definitiva, delle pene alternative e riabilitative. Le sbarre del carcere dovevano confortare gli italiani dall’ondata di criminalità – creata mediaticamente – ed hanno finito per distruggere la funzione costituzionale delle “case circondariali”: riabilitare alla vita civile i detenuti.
La battaglia dei Radicali. I radicali sono gli unici a portare, nel proprio programma politico, una soluzione alla vergogna delle nostre carceri: l’amnistia. Marco Pannella ha continuato per oltre 10 giorni lo sciopero della fame e della sete, a dicembre, per dar voce a questa richiesta: dopo l’incontro con Monti ha accettato le cure mediche ormai indispensabili, ma professa in questi giorni il proseguimento della protesta (ora solo della fame).
La sconfitta della Severino. A peggiorare la “mortificante conferma” di Strasburgo (parole di Napolitano), è la sconfitta, in extremis, del ddl anticarcere del ministro Severino. La legge doveva rendere più facile l’accesso dei detenuti alle pene riabilitative alternative al carcere, dai domiciliari al lavoro socialmente utile: già approvato in Commissione, si è arenato al Senato, dove il calendario politico l’ha definitivamente cancellato dalla legislatura Monti. Se ne riparlerà, forse, con il nuovo governo: ma non prima, c’è da scommetterci, di arrivare all’autunno prossimo. A ridosso dell’ultimatum (stavolta davvero definitivo) dell’Europa, che ci prepara (e giustamente) una multa da milioni di euro – e la condanna, ironica perché caustica, a rifondere i detenuti dei “disagi subiti”. Cosa daranno ai parenti delle vittime di suicidio?
Nota: Una speranza potrebbe giungere dalla lista civica capitanata da Antonio Ingroia. Tra i candidati, anche Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e ormai simbolo della mobilitazione civile contro la violazione dei diritti dei detenuti in carcere. Forse una voce dal basso alla Camera può aiutare.