Diaz, nessuna giustizia per giornalista massacrato
A 12 anni dalla notte della Diaz, la Procura di Genova molla la spugna: nonostante le “indagini accurate e professionali”, dice il gip Adriana Petri, “non è stato possibile identificare i responsabili del massacro”. La polizia non ha collaborato: né i vertici, né i singoli poliziotti presenti quella sera a Genova hanno aperto bocca. L’omertà non è solo cosa di mafia. Tutti e 20 gli indagati sono liberi – qualcuno è stato promosso. Solo a Mark Covell, la vittima, è andata male. E pensare che ha anche vinto la causa civile. Ma la divisa – ancora una volta – non si processa.
Il pestaggio. Mark Covell è magro, invecchiato, un viso da vecchio sui suoi 44 anni. Porta la dentiera, non riesce praticamente a ridere, ha i polmoni ancora lesionati dal pestaggio di 12 anni fa. E la mano trema. Racconta su Youtube, per l’ennesima volta, la sua storia: una storia che, da italiani, dovrebbe farci vergognare. Era corso fuori dalla Diaz-Pascoli al primo allarme, per andare a vedere cosa succedeva: si è trovato davanti una carica da 300 poliziotti in assetto antisommossa, è stato pestato a più riprese e lasciato a terra per mezz’ora come un sacco sanguinante. Con costole rotte, polmoni perforati, mani e denti spaccati. Lo hanno salvato due infermieri e un medico, rifiutandosi di portarlo a Bolzaneto e mandandolo invece in un ospedale civile, il Martini. Mark Covell non ha visto in viso i poliziotti (almeno 6) che si sono alternati a massacrarlo per mezz’ora la notte del 20 luglio 2001. Erano in tenuta anti-sommossa, e come ancora oggi succede, senza alcun numero identificativo. D’altronde, come si è appreso nel ramo d’inchiesta principale, gli stessi vertici della polizia in carica all’epoca incoraggiarono le squadre ad “andare fino in fondo”. Erano onnipotenti, quei poliziotti, e colpirono duro.
Un pò di nomi. Nell’inchiesta per il tentato omicidio di Mark Covell c’erano tanti nomi eccellenti. Giovanni Luperi, vice direttore Ucigos (oggi si chiama Polizia di Prevenzione, un gruppo anti-terrorismo nato negli Anni di Piombo), Francesco Gratteri e Gilberto Calderozzi, il direttore e il vicedirettore del Servizio Centrale Operativo. I tre furono processati per le molotov alla Diaz, messe – come fu dimostrato in appello – dai tre nella scuola per giustificare la violenza dell’assalto. Con loro anche Spartaco Mortola, dirigente della Digos di Genova e autore del “piano molotov” (secondo le 2 condanne a 4 anni, in primo e secondo grado): è stato promosso questore di Genova a giugno 2011.
L’omertà. La consegna per i 346 poliziotti e 149 carabinieri presenti alla Diaz il 21 luglio è stata rispettata: “silenzio totale”. L’unico ad aprire bocca fu, già dalle prime indagini, Michele Burgio, agente semplice che raccontò la vicenda delle molotov. Ma nessuno, in 12 anni di indagini, ha fatto i nomi della “squadraccia” che pestò Covell. Nessuno ricorda, nessuno ha delle liste identificative, nessuno sa. Né nei reparti mobili di Roma, Genova e Milano, nè alla Digos. Per questo, per l’omertà di quasi 500 agenti e una ventina di dirigenti di polizia (“servitori dello Stato”, si dice), non ci sarà giustizia per il tentato omicidio di Mark Covell. E pensare che l’Italia ha già ammesso la colpa, condannando il Ministero dell’Interno ad un risarcimento di 350mila euro per Covell, nella causa civile vinta nel 2011.
Ha ragione Celestini. In Italia, la divisa non si processa.
Nota: per chiunque consideri quest’articolo un insulto all’intero Corpo di Polizia di Stato, si tranquillizzi. Non è stato scritto per fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono poliziotti che fanno il loro lavoro bene e con coscienza, alcuni sono anche eroi: ma non chiudiamo gli occhi di fronte chi usa la divisa per perpetrare violenza. Ci sono responsabili, ci sarebbero anche i nomi, ma il silenzio degli altri li nasconde alla giustizia.
-
se fa la giornalista come ha fatto il deputato stiamo molto bene le notizie false saranno a go go’
Comments