Disperazione a mano armata

SparatoreLa sequenza con cui l’uomo che ha sparato ieri davanti a Palazzo Chigi è stato bollato dai media è stata questa: prima gli hanno dato dello “squilibrato”, poi del dipendente da gioco. A smentire almeno la prima delle ipotesi quasi subito è intervenuto il fratello: “mai nessuna patologica psichica”. L’impressione però era che nessuno – a farlo è stato il magistrato che l’ha incontrato in ospedale – volesse pronunciare la parola “disperato”. “È un uomo pieno di problemi che ha perso il lavoro, aveva perso tutto, era dovuto tornare in famiglia: era disperato. In generale voleva sparare sui politici, ma visto che non li poteva raggiungere ha sparato sui carabinieri – a dirlo il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani dopo aver sentito Luigi Prieti, lo sparatore – Ha confessato tutto. Non sembra una persona squilibrata”.

LA SPARATORIA PER IMMAGINII FERITI (FOTO1FOTO2) – L’ATTENTATOREL’ARMA

La Casta arroccata e i cittadini. Banale anche sottolineare e ribadire che la violenza è sempre sbagliata e che i tanti commenti di chi incita a sparare ai politici comparsi quasi ovunque tra ieri e oggi sono idiozie che si bollano da sole come tali, eppure una notazione va fatta su un altro tipo di violenza – questa volta psicologica – che troppe volte viene sottovalutata e sottaciuta: quella della politica.

La violenza sottile. Privilegi, autoblu, vitalizi, scorte, gratuità di tutti i tipi, stipendi d’oro, se paragonati alla crisi economica che quotidianamente vivono i cittadini, gli imprenditori e i commercianti sono a tutti gli effetti un tipo diverso e più sottile di violenza che comunque corrode – per contrasto – la mente di chi ogni giorno deve sopravvivere e portare avanti le famiglie e le imprese tra mille difficoltà. E’ una violenza psicologica che lavora per contrapposizione e fa leva sulla “mancanza”, sull’angoscia, sull’ansia. I risultati sono ambivalenti: c’è chi si suicida (vedi gli imprenditori o i dipendenti, vittime dell’immobilismo della politica) o chi invece decide di impugnare una pistola e sparare. E non stiamo parlando di brigatisti o terroristi organizzati, con una loro missione tanto folle quanto inutile, un obiettivo di natura politica, un ideale da perseguire, ma di singoli cittadini che si tolgono la vita o decidono di toglierla al primo rappresentante dello Stato che si trovano davanti. Gesti sconsiderati, improvvisi, frutto di una disperazione che rompe gli argini. Ma la violenza – questa è storia – porta solo clamore, misure di controllo più stringenti, giustifica accordi e arroccamenti di necessità tra forze politiche altrimenti opposte: non risolve alcunché.

Fate presto. A fronte di un gesto sconsiderato e certamente da condannare, dunque, la politica deve interrogarsi sul suo immobilismo sul fronte delle riforme, mal bilanciato con privilegi e atteggiamenti “da Casta” che cozzano con il quotidiano dei cittadini. L’Italia è un Paese ormai allo sbando sul fronte sociale, economico ed occupazionale. E i continui rapporti degli istituti di monitoraggio non fanno che confermarlo: una disoccupazione da record che coinvolge ormai giovani e non, imprese che chiudono, famiglie in difficoltà. La politica, fino ad oggi, è stata immobile. Le riforme necessarie a cambiare il Paese sono solo parole buona per quel retoricume politico da dare in pasto alle televisioni e ai talk-show, nei fatti si è fatto poco o nulla.

Poi c’è la retorica. Dare la colpa di quanto è successo ieri a Beppe Grillo e al MoVimento Cinque Stelle non è semplicemente sbagliato: è stupido, riduttivo, troppo semplice. Se fosse solo una responsabilità da attribuire al comico genovese e al suo MoVimento, la situazione sarebbe di facile soluzione: abbassare i toni, cambiare musica. E invece no, non ci si può certo nascondere dietro un dito e dire: è colpa del comico. Lo Stato – l’abbiamo appena detto – in questa vicenda ha le sue responsabilità in termini di non-fatto, di immobilismo, di abbandono dei cittadini. Di contro è comunque giusto sottolineare che l’uso continuo e quasi quotidiano di una retorica politica violenta e urlacciata dai palchi e in televisione, di per sé strumento accreditante dell’opinione comune – (“Siete morti viventi”, “Bersani morto che parla”, al più noto “Arrendetevi, siete circondati!”) aizza proprio quella disperazione latente e serpeggiante che attende solo uno sfogatoio e una legittimazione – foss’anche retorica, perché no – per esplodere. Non tutti – banale anche doverlo dire – sono così equilibrati da saper prendere con le pinze certi strillacci contro la politica. Qualcuno – magari esasperato da difficoltà economiche quotidiane – potrebbe invece decidere di passare dalle parole ai fatti. Non è dunque colpa di Grillo, ma abbassare i toni da parte sua non guasterebbe. Lui che – sarà un caso – è stato il primo ad aver preso pubblicamente le distanze dall’accaduto.

Di Emilio Fabio Torsello

Giornalista professionista, 30 anni, mi sono laureato in Lettere Moderne presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 2006. Mi occupo di tematiche inerenti la legalità, la cronaca giudiziaria (imparando dal "maestro" Roberto Martinelli), l’immigrazione e la politica. Collaboro con il mensile Narcomafie, con alcune testate del Gruppo Sole 24 Ore e in particolare con Il Sole 24 Ore del lunedì e Il Sole 24 Ore "Roma", con Il Fatto quotidiano e con Roma Sette (Avvenire). In passato ho lavorato (stage) presso la redazione Ansa di Bruxelles e ho collaborato con la redazione aquilana dell'AGI e con il portale del sole 24 Ore, Salute24. Sono l'autore del blog EF's Blog, sulla piattaforma Wordpress

4 commenti

  1. Lira, rimembri ancora

    quel tempo della tua vita normale,

    quando serenità splendea

    negli occhi ridenti degli Italiani,

    e tu, inesauribile e sovrana, il limitare

    di povertà impedivi?

  2. Perchè “sarà un caso”? Chi si schiera dietro un presunto mandante è chi sa di aver sbagliato, ma si prende le proprie responsabilità, dando la colpa a qualcun altro. Sarà un caso? No, in QUESTO caso, no.

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