Berlusconi e processo Mediaset, una sentenza vuota
Una condanna attesa, prevista, diretta conseguenza di carte inoppugnabili. Eppure poco importante. Che Berlusconi resti dentro o fuori dai pubblici uffici per 5 anni(unica pena vera che potrebbe scontare, dopo la sentenza di cassazione), la situazione del Paese non cambia. Il governo Letta non cadrà su una questione “morale”: Alfano ha già chiarito che resterà fedele all’esecutivo, da pilotare nell’interesse del Cav alle prossime elezioni. La vera priorità del Paese è il Lavoro, l’Economia, insomma il Paese.
Condanna in Appello. Quella del processo Mediaset è la prima condanna in secondo grado di Silvio Berlusconi, la prima di cui i giornali possono scrivere “condannato” senza troppe reticenze. Eppure è la meno eclatante e importante della sua carriera. Il clima è cambiato. Dire che Berlusconi gonfiò il valore dei diritti televisivi a suo favore e frodò il fisco, oggi non fa vera notizia. Parte subito il mantra dei “giudici ostili”, ovviamente, ma senza vera verve: il centrodestra se ne disinteressa subito, il centrosinistra non commenta. Mangiando tutti alla stessa tavola, è difficile una vera guerra morale.
La pena senza effetti. Tra quindici giorni arriveranno le motivazioni della sentenza d’Appello: per il momento, possiamo leggere la condanna a 4 anni di reclusione come una beffa, visto che già 3 di questi sono coperti da indulto (per la legge del Governo Prodi, del 2006). Resta, in sostanza, solo l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni: impossibilità quindi di ricandidarsi e usufruire dell’immunità parlamentare per i prossimi processi. Ma che Berlusconi esca dalla scena politica è fantascienza: lo dimostra la campagna elettorale di quest’anno, fatta in solitaria dal Cav per un candidato premier diverso da sé stesso. Ormai è completamente “eminenza grigia”, patron dietro le quinte, essere o no in Parlamento cambia poco. Al massimo un “tradimento” interno al partito, ma è improbabile, l’elettore di centrodestra continua ad amare il personaggio ben più del partito.
Il Governo Letta, “amorale”. Ci sono priorità per il Paese che non coinvolgono Berlusconi: il lavoro, l’economia, la crisi. Il governo Letta-Alfano prosegue dritto, mentre il conflitto d’interessi e l’epoca delle toghe ammazza-governi tramontano: il premier Enrico ha da fare con un Pd lacerato e indisciplinato, il vice Alfano ha obiettivi concreti da realizzare agli Interni e sul fronte fiscale. Nessun ministro dell’esecutivo solleverà veramente la questione morale, o chiederà al centrodestra una legge chiara sul conflitto di interessi e l’incandidabilità: e le richieste di Grillo e Vendola non basteranno a portare in un’aula blindata la questione.
E’ davvero importante? Siamo in un momento in cui la giustizia viene molto dopo l’economia. La crisi ha diffuso negli italiani la paura per il concreto: il proprio lavoro, i figli senza futuro, la pensione che non esiste più o che si allontana. A chi interessa sapere un corruttore in carcere, se questo significa lasciare in vigore la Riforma Fornero, un mercato del lavoro che è un colabrodo e macina disoccupazione: a chi interessa far cadere Letta se questo significa Pil sottozero per i prossimi 5 anni e recessione per altri dieci?
Un Paese peggiore. La crisi ha fatto diventare l’Italia un Paese miope, centrato sul tozzo di pane (o sul decoder tv e Sky, inteso come “minimo indispensabile” dai nuovi poveri). Un Paese peggiore, che al rispetto della Giustizia e della Legge preferisce la frode e “l’iniziativa personale” (anche quando criminale) pur di essere meno miserabile e più ricco.
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Insomma il concetto si puó riassumere con una sola frase:
Siamo un popolo di caproni!
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