Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | December 3, 2024

Scroll to top

Top

Heaney, la ricerca del canto perduto - Diritto di critica

seamusfelixclay460di Francesco Ruffinoni

Ad essere sinceri, con quelle sopraciglia così marcate e con quei buffi occhietti vispi, più che a un poeta assomigliava ad un leprecano. Sì, forse Seamus Heaney era davvero un folletto benevolo, uno spiritello d’Irlanda e non uno scrittore. Del resto, quando si leggono le sue splendide poesie, quello che emerge è un mondo incantato, un terreno mitico e surreale, reso fertile dalla parola. Quella parola, vissuta, sofferta, amata, che è radice e, al tempo stesso, frutto della ricerca poetica. Una parola sussurrata, gentile, che porta con sé la peculiare allegria della gente d’Irlanda, ma pure il dramma della sua storia. Ora Seamus Heaney, scomparso il 30 agosto scorso a Dublino, non c’è più. Ma questa parola, incessantemente cercata e svelata, continua a vivere nei versi da lui coniati.

Seamus Heaney nasce in una famiglia di contadini cattolici, nella fattoria di Mossbawn, in località Castledawson, Irlanda del Nord, il 13 aprile 1939. Dopo gli studi a Belfast, si trasferisce a Dublino, dove insegna letteratura inglese fino al 1984, quando approda all’Università di Harvard. Nel 1989 ottiene la cattedra di poesia a Oxford. Diventato celebre con la pubblicazione nel 1966 della sua prima collezione di poesie, Death of a Naturalist, vince il Nobel per la letteratura nel 1995. Non c’è solo il Nobel però: nel 1996 viene anche nominato Commandeur de l’Ordre des Arts et Lettres dal ministro della Cultura francese. Nonostante questa carriera felice e in ascesa, mantiene un’indole umile e semplice, che si riscontra, fra l’altro, nella sua produzione letteraria: «Ma io non ho la vanga per seguire uomini così / Tra l’indice e il pollice / Ho la penna. / Scaverò con quella».

Ma che tipo di poesia è, realmente, quella di Heaney? Sicuramente una lirica non facile, accostabile, per certi aspetti, a quella di Rilke, la cui origine va ricercata nell’antica tradizione letteraria gaelica, ricca di eroi leggendari e di imprese mitiche. Una tradizione apparentemente ingenua, ma carica di significati nascosti e profondi. Sono proprio questi significati primitivi e primigeni che emergono prepotentemente dalle parole di Heaney. Parole che si sforzano di afferrare la musicalità, intima e liquida, dell’essere. La stessa musicalità che ancora oggi si può cogliere nelle ballate e nei reel del Gaeltacht. La realtà di tutti i giorni viene sapientemente trasfigurata e modellata attraverso il sentire del poeta: camion, trattori, vecchi sofà, tende e altri elementi, in particolar modo quelli del quotidiano contadino, vengono scissi dalla loro sostanzialità per essere elevati a immagini del poetico, così da poter farsi memoria collettiva. Ma nei versi di Heaney non c’è solo il ricordo del suo passato contadino, ma pure la storia di una nazione. La storia della sua amata Irlanda e, soprattutto, la tragica storia dell’Irlanda del Nord, fatta di violenze e contraddizioni. Gli aspetti onirici e mitologici, quindi, si fondono con quelli storici e sociali, forgiando, così, una poesia carica di forte tensione etica e di rivincita. La rivincita di un popolo oppresso e di una comunità caduca alla quale lo stesso poeta appartiene e che, proprio per questo, egli stesso non esita a interpellare. Si evince, dunque, la testimonianza di un’identità che, fra mille avversità, è sopravvissuta. Di un’identità radicata nei luoghi in cui il poeta ha vissuto la propria giovinezza, plasmata da un’esperienza che, pazientemente, media fra realtà e immaginazione.

Legato all’Italia e alla cultura italiana, Heaney ha tradotto in inglese le poesie di Giovanni Pascoli. Lo scorso settembre ha inaugurato il Festivaletteratura di Mantova, dove ha firmato l’appello al presidente della Repubblica per il restauro e la riapertura della Camera degli Sposi, danneggiata dal terremoto. E proprio il Festivaletteratura, in questi giorni, attraverso il proprio sito web, ha omaggiato il poeta con il ricordo di un suo celebre articolo incentrato sul lascito poetico di Virgilio.