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Diritto di critica | April 19, 2024

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Roma verso il default. Ma anche con i soldi i problemi rimangono

MarinoSenza soldi. Prima promessi e poi non dati. Così Ignazio Marino si ritrova a fare il “liquidatore fallimentare” di Roma. Con gli sprechi della precedente amministrazione, con la necessità di investimenti strutturali su una città che è al limite del collasso sotto il profilo dei trasporti, con le promesse mancate da parte del governo, oggi la Capitale rischia di bloccarsi. Non è bastata la spending review imposta dal sindaco negli ultimi mesi: perché chiudere un buco da un miliardo di euro è un’impresa quasi impossibile.

Lo sfogo di Marino. “Se non arrivano i soldi domenica blocco la città e me ne vado”, ha dichiarato il sindaco, furioso dopo l’annuncio del ritiro del decreto Salva-Roma. “Diciamolo con chiarezza: per marzo non ci saranno i soldi per i 25mila dipendenti del Comune, per il gasolio dei bus, per tenere aperti gli asili nido o raccogliere i rifiuti e neanche per organizzare la santificazione dei due Papi, un evento di portata planetaria. Io non ci voglio mettere la faccia”. E alcuni molto vicini al sindaco sono convinti che non stia scherzando e che già a novembre aveva minacciato – evitando di dichiararlo alla stampa – di lasciare la guida del Campidoglio se non si fosse chiuso (dopo un lunghissimo travaglio) il bilancio.

“Hanno raschiato il fondo del barile”. Che il sindaco Marino abbia ereditato una situazione disastrosa è cosa oramai conclamata. A fine settembre, un alto dirigente del Campidoglio, molto vicino a Marino, si è sfogato con alcuni suoi colleghi: “Non abbiamo più una lira per i progetti. Si sono mangiati tutto e ora abbiamo le casse vuote. A giugno (ndr: nelle ultime settimane del mandato di Gianni Alemanno) abbiamo assistito a spese anomale…hanno raschiato il fondo del barile”. Con l’approvazione del bilancio (e con il decreto Salva-Roma) il comune ha avuto modo di pagare i fornitori e finanziare alcuni progetti. Ora, però, lo spettro del default si riavvicina inesorabilmente.

Una valanga di emendamenti. Ad esultare per il blocco del decreto la Lega Nord (ma non è una novità) e il MoVimento 5 Stelle. Entrambi i gruppi parlamentari hanno farcito il decreto di un numero spropositato di emendamenti, tale da rendere inapprovabile il testo nei tempi necessari per salvare le finanze della Capitale. Ma anche la maggioranza avrebbe le sue colpe: la calendarizzazione, sottolineano i parlamentari 5 stelle, era errata e si è lasciato passare troppo tempo prima di avviare la discussione in Aula. Che dietro a tutto ci sia anche lo zampino del Pd – che non ha mai visto di buon grado Marino, eletto con le primarie ma lontano dal modus operandi dei “democratici” romani – non è del tutto improbabile. E lo sfogo scomposto del sindaco, che inneggia addirittura ai “forconi”, potrebbe anche confermare questa ipotesi.

Il problema irrisolvibile. Ma, al di là del decreto, i problemi di Roma vengono da lontano. Una recente ricerca pubblicata su OpenCampidoglio da un consigliere radicale di Roma Capitale, Riccardo Magi. Le municipalizzate e le controllate impiegano 37mila persone. Ben 31mila di questi lavorano in Ama, Atac o Acea, pari all’1,2% dell’intera popolazione di Roma Capitale. A questi si aggiungono ben 25mila dipendenti del comune. Oltre al costo di una mastodontica squadra di dipendenti, le varie municipalizzate sono costantemente in rosso. Così il comune deve ogni anno ripianare in parte il loro bilancio.