Ecco l'uomo che potrebbe portare Donald Trump al successo - Diritto di critica
Se Donald Trump dovesse vincere la corsa verso le presidenziali americane, proprio mentre parte del suo partito gli rema contro, molto del successo lo dovrà al nipote di immigrati che dall’Italia raggiunsero gli Stati Uniti, nel lontano 1919: Paul Manafort, lobbysta e veterano tra i consulenti di comunicazione politica. Il nonno, James Manafort, giunse negli Stati Uniti come immigrato nel 1919 proprio dall’Italia. Mentre il padre combatté durante la Seconda Guerra Mondiale. È lui il nuovo consulente strategico di Donald Trump.
Nella lista dei passati “clienti” di Manafort figurano nomi di tutto rispetto del partito repubblicano: Gerald Ford, Ronald Reagan, George H.W. Bush, Bob Dole, George W. Bush, John McCain. Ma anche e soprattutto quel leader ucraino “amico di Putin”, di cui molto si è parlato durante la rivoluzione arancione: Viktor Yanukovic, che nel 2010 ha vinto le presidenziali contro la la sfidante, Julija Tymošenko. O l’ex dittatore della Nigeria, Sani Abacha. Da qualche settimana a questa lista si è aggiunto anche Donald Trump, intenzionato a imprimere una forte strambata alla propria campagna elettorale, focalizzandola su toni ben più istituzionali rispetto a quanto visto e ascoltato fino ad oggi. L’obiettivo è farsi percepire come un potenziale – e credibile – presidente degli Stati Uniti d’America.
Ed è stato lo stesso Manafort, qualche settimana fa, a dire: “Lui (Trump, ndr) capisce le cose e la parte che sta recitando è in fase di evoluzione. Gli aspetti negativi si stanno dissolvendo, la sua immagine cambierà”. Ed è lì la parola chiave che racconta il futuro prossimo della campagna elettorale del tycoon newyorkese, giunta ormai a oltre due terzi del percorso: “la sua immagine cambierà”. E Trump gli ha affidato un plafond da 20 milioni di dollari.
Alla luce del ritiro di Ted Cruz, annunciato stanotte in Indiana, la strada di Trump è ormai tutta in discesa. John Kasich, unico sfidante ancora in corsa, non impensierisce ed è fin troppo distante dai numeri di Trump per incalzare seriamente “The Donald”.
Manafort ha scalzato Corey Lewandowski, il manager che ha guidato Trump fino al successo attuale, in una campagna che lo ha ormai consacrato come il “frontrunner” del partito. Quella di Lewandowski è stata una strategia politica all’insegna della rottura, dello strillo, dei toni forti e marcati, capaci di segnare il passo rispetto agli sfidanti. Ma adesso per Trump è giunto il momento di farsi più istituzionale, per tranquillizzare soprattutto gli animi di quei repubblicani che non credono in lui (ma il cui voto è fondamentale sia ai fini del Congresso che delle presidenziali di novembre). Da qui la scelta di chiamare in squadra Paul Manafort.