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Diritto di critica | April 25, 2024

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Peppino Impastato, 40 anni fa la fine nello stesso giorno di Moro

A poche ore dalla scoperta dell'omicidio del Presidente della Dc, in Sicilia la mafia stroncava la vita del giovane di Cinisi, che aveva osato sfidare il boss Badalamenti

Peppino Impastato, 40 anni fa la fine nello stesso giorno di Moro

9 maggio 1978. Non è un giorno qualunque. Quella mattina tutta l’Italia è scioccata alla vista, in diretta televisiva, del corpo senza vita dell’onorevole Aldo Moro (rapito dalle Brigate Rosse quasi due mesi prima), riverso nel bagagliaio di una macchina in via Caetani, a Roma. Mentre Peppino Impastato, a trent’anni appena, viene trovato assassinato lungo i binari a Cinisi, Palermo. Terrorismo e mafia, i mali dell’Italia post-boom economico racchiusi in due eventi vili e terribili, scoperti in un unico giorno.

40 anni fa: la ribellione Peppino Impastato è solo una delle tante vittime della mafia (anzi, all’inizio si parlò di tentato atto terroristico e poi di suicidio), un numero di una minoranza silenziosa che dopo la sua morte è aumentata sempre di più, a dimostrare la forza di chi pian piano si è ribellato al potere della criminalità organizzata, in Sicilia prima, e in Italia poi. Quando la mafia ha paura, uccide. Impastato è stato ammazzato perché ha osato opporsi alla legge non scritta che dominava nel suo paese, legge alla quale sottostava la sua stessa famiglia: il padre e gli zii erano affiliati ad una cosca mafiosa alleata con i Corleonesi. Lui, ragazzo minuto dai lineamenti spigolosi e una luce particolare negli occhi, non ci sta. Sin da giovanissimo taglia i ponti con il padre, e si butta anima e corpo nell’impegno civile e politico. È come predicare nel deserto, ma siamo nei turbolenti anni Settanta, e forse qualcosa si sta muovendo.

La lotta Peppino si schiera a fianco di giovani come lui, dei disoccupati, dei contadini espropriati per la costruzione della famigerata terza pista dell’aeroporto di Palermo, proprio nel territorio di Cinisi. Affari sporchi, dietro quella pista, e dietro tutto lo scalo di Punta Raisi: in ballo c’è il controllo dei traffici internazionali di droga. A capo di quegli affari il padrone/padrino di Cinisi: Gaetano Badalamenti, boss in decadenza ma pur sempre boss, il vicino di casa che dorme sonni tranquilli a soli cento passi da Impastato. Tano, “don” Tano per chi lo teme e gli obbedisce, diventa ben presto il simbolo della lotta di Peppino, l’emblema della potenza mafiosa che il giovane attivista vuole sfidare.

Radio Aut Quando nel 1977 nasce Radio Aut, emittente autofinanziata messa in piedi nella piccola Cinisi, pochi credono nell’influenza che la radio può avere su chi ascolta, specialmente sui giovani irrequieti di fine decennio. E invece l’intuizione è geniale quanto moderna: le parole colpiscono più di mille processi. Il programma “Onda pazza”, satira spietata allo stato puro, sbeffeggia politici e mafiosi, e inchioda alle proprie responsabilità Badalamenti, ironicamente apostrofato con il nome di “Tano seduto”. L’accusa pubblica macchia per sempre il prestigio del boss e apre uno squarcio nel muro di silenzio innalzato nelle terre di mafia. Peppino nomina a chiare lettere il nemico, lo ridicolizza, ne sminuisce la figura. Cerca di esorcizzare la paura che il padrino incute chiamando le cose con il loro nome. Ma Impastato non è stato solo Radio Aut. Ha capito prima di altri l’importanza dei mezzi di comunicazione, della cultura come strumento di lotta all’illegalità, all’omertà mafiosa. Nel 1965, a soli 17 anni, aveva fondato il giornalino locale L’idea socialista, e nove anni dopo costituito con i compagni di militanza il gruppo culturale Musica e cultura, regno di dibattiti, concerti, teatro e cineforum.

La vendetta  e la “rivincita” Peppino Impastato muore solo, la notte del 9 maggio del 1978. Era candidato alle elezioni del consiglio comunale di Cinisi, nella lista di Democrazia Proletaria. I sicari di Badalamenti non vogliono lasciare tracce: la mafia desidera che di questo ragazzo non rimanga memoria. Ma il suo eroismo piano piano vince. Vince perché cinque giorni dopo la morte gli abitanti del suo paese lo eleggono simbolicamente consigliere comunale. Vince perché un anno dopo viene organizzata la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia. Don Tano, mandante dell’omicidio, è stato condannato all’ergastolo solo nel 2002, dopo un’estenuante battaglia giudiziaria condotta dalla madre e dal fratello di Impastato a colpi di ricorsi (durante uno dei quali, nel 1999, anche l’Ordine dei giornalisti si è costituito parte civile nel procedimento). Il suo vice, Vito Palazzolo, era finito in manette l’anno prima, dopo la decisiva testimonianza del pentito Salvatore Palazzolo, il fratello. Peppino forse oggi sarebbe un po’ meno solo di quando scriveva: “..Passeggio per i campi con il cuore sospeso nel sole. Il pensiero, avvolto a spirale, ricerca il cuore nella nebbia..”.