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Diritto di critica | November 9, 2024

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“Joker” da record nei cinema. Ma il vero capolavoro è Joaquin Phoenix

“Joker”, record nei cinema. Ma il vero capolavoro è Joaquin Phoenix

La mente del Joker vaga, scavalca dolentemente i limiti, e noi con lui. E questo è sicuramente un viaggio da fare.

La sua risata, dolorosa e straziante, ti rimane dentro. Così come l’angoscia di un personaggio reso talmente reale da farcene provare quasi la sofferenza. Il “Joker” di Todd Phillips, nelle sale ormai da giorni, continua a sbancare al botteghino (tanto che si pensa ad un sequel) e a colpire, sicuramente, per l’escalation di violenza e disperazione che fa muovere il protagonista all’interno di un’umanità ormai persa. Ma si tratta di un film davvero indimenticabile?

Il Joker è un capolavoro? Vincitore a sorpresa del Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia (ma anche “The Wrestler”, pellicola similmente incentrata sul disagio di un outsider della società, fu una vittoria inaspettata, nel 2008), il film sul controverso criminale dell’immaginaria Gotham City lascia più di un dubbio rispetto alle tantissime opinioni che lo consacrano come un capolavoro. Dato ormai per consolidato il fatto che questo Joker non si possa paragonare a nessuno dei precedenti, la trama e la struttura narrativa e tecnica in sé non appaiono così notevoli. Un film capolavoro, forse, generalmente lo è in tutti i suoi aspetti. Il discorso cambia, invece, se consideriamo quanto pesi sulla bilancia l’interpretazione di Joaquin Phoenix. Sin dal primo, stordente, fotogramma c’è solo lui, i suoi movimenti, le sue angosce. E tutto il resto sparisce.

Locandina Joker english

Il talento di Mr. Phoenix Il quadro era già chiaro dopo il suo splendido Imperatore Commodo ne “Il gladiatore”, quasi venti anni fa. Ma Phoenix è oltremodo superbo nell’animare un Joker (qui alter ego del reietto Arthur Fleck, aspirante comico, clown di professione) del quale apprendiamo le origini della propria labilità mentale, in una progressione di scosse emotive e umiliazioni che sfociano nella violenza più lucida e inesorabile. L’accento è posto, certo, su una società incapace di includere e ascoltare, rapida nel respingere e buttare ai margini chi non è come gli altri. Ma tutto passa attraverso gli occhi del personaggio, la bocca che il trucco da pagliaccio vuole fintamente allegra, le mani tremanti, e quella risata sguaiata che la psiche decide compaia nei momenti più disperati e drammatici.

Il ruolo del Joker L’ultima parte del film di Phillips è il capolavoro dell’attore statunitense, probabilmente candidato ai prossimi Oscar. L’apoteosi in un’interpretazione già perfetta dall’inizio alla fine. Perfetta e faticosa. Lo ha dichiarato lui stesso, che ha anche perso 25 chili per rendere Arthur/Joker più sofferente e spigoloso, quanto gli sia costato preparare il personaggio: «Non è stato facile né piacevole entrare nella sua testa. Ho voluto creare il mio Joker, che fosse frutto della mia immaginazione o della mia pazzia. Per esempio nei movimenti: ci sono momenti in cui danza in modo così leggero che sembra sollevarsi dalla tristezza del mondo in cui vive. Per questo mi sono ispirato a Ray Bolger, lo spaventapasseri de “Il mago di Oz”». La mente del Joker vaga e scavalca dolentemente i limiti, e noi con lui. E questo, che il film sia un capolavoro o no, è sicuramente un viaggio da fare.