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Diritto di critica | May 4, 2024

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Flop dell'Italia calcistica, è l'Anno zero

Il secondo fallimento consecutivo ai mondiali riapre il dibattito sulla crisi del calcio italiano. Dopo quattro anni di belle parole non è cambiato nulla

“Ripartiamo dai vivai, abbiamo bisogno di ridare spazio ai giovani calciatori italiani”. I commenti di oggi sono gli stessi di ieri. Ieri sera di quattro anni fa c’era Lippi in panchina. Ieri, 24 giugno 2014, Prandelli. Non è ovviamente bastato cambiare allenatore per cambiare il nostro calcio. Prandelli ha fatto molto: in due anni ha ricostruito un gruppo e ha ottenuto il secondo posto all’Europeo e il terzo alla Confederation Cup. Poi ha sbagliato tutto. Ma è chiaro che non è l’allenatore oggi il vero problema.

Prandelli, tanto cuore e alcuni errori. Il ct azzurro dimissionario non è mai stato immune da errori, anche in passato: la sonora sconfitta contro la Spagna due anni fa nella finalissima europea è frutto di scelte dettate dal cuore più che dal cervello: in campo non può stare una squadra “cotta”. Colpa anche dello staff medico, sia nel 2012 che nel 2014. Non è possibile vedere uscire Verratti, che ha giocato due partite in nove giorni, in barella, e Immobile sostituito per crampi, dopo aver giocato in nove giorni 88 minuti. Postumi del campionato, dicono.

Parola d’ordine: ripartire. Ma con chi? Non basta cambiare l’allenatore per non cambiare tutto il resto. L’immobilismo della Figc è stato clamoroso. Tante parole al vento dopo il flop del 2010. I vivai, l’attenzione alla nazionale. Nulla di tutto questo si è visto. E ora siamo punto a capo. Anno zero. Si riparte, di nuovo. Si riparte dalle dimissioni di Giancarlo Abete, ancor più importanti di quelle di Cesare Prandelli. Ma con chi? Chi siederà nella cabina di regia per la rinascita azzurra? Per la poltrona di ct si fanno già i nomi di Allegri e Spalletti (ma qualcuno invoca il cinico e spietato Fabio Capello che alla guida di Inghilterra e Russia è stato un valore aggiunto importante). Più intricata la questione relativa alla nuova dirigenza della Figc. Si parla di Albertini, ex calciatore di livello che ha imparato proprio da Abete a muoversi nella politica calcistica. Con lui sulla poltrona più alta, però, c’è il rischio di non poter apprezzare la necessaria discontinuità.

Una crisi lunga 14 anni. Serve un vertice forte. Inutile ripeterlo. Forte in patria, dove non è più ammissibile che le società mettano bocca su ogni scelta, soprattutto quando si tratta della nazionale. E forte all’estero: non è ammissibile farsi arbitrare da direttori di gara incapaci o presumibilmente corrotti. L’Italia deve pesare perché il peso di quelle quattro stelle appiccicate ad una maglia non basta più. E, se nel 2006 la nazionale ha vinto il campionato del mondo (con una squadra non fenomenale ma certamente superiore all’attuale), dobbiamo anche guardare ai risultati complessivi ottenuti dal 2000 ad oggi: Dopo il secondo posto agli europei con Dino Zoff in panchina, nel 2002 l’Italia si ferma agli ottavi. Complice un girone complicato dalle scelte arbitrali e la scandalosa partita contro la Corea del Sud arbitrata da Byron Moreno. L’arbitro era avverso ma la nazionale non ha saputo metterci il cuore. Poi nel 2004 agli europei l’Italia, imbattuta, viene eliminata nel girone per differenza reti e l’ombra giustificatrice del “biscotto scandinavo”. Nel 2008 in Austria e Svizzera, l’Italia si ferma ai quarti, sconfitta ai rigori dalla Spagna che poi vinse la finale. La squadra vincente del 2006 c’era ancora. Ma nel 2010 la musica è cambiata. Il ricambio generazionale, necessario ed inevitabile, non ha dato i frutti sperati. Non sono bastati Buffon (che ha giocato, causa infortunio solo i primi 45 minuti dell’esordio) e Pirlo. L’Italia esce ultima nel girone, il risultato peggiore dal 1974. Poi viene l’era Prandelli. Ma un allenatore non può far miracoli: mancano i campioni, manca l’estro di Baggio, la tecnica di Del Piero, la forza e la velocità di Vieri, la furbizia di Schillaci, la padronanza di Baresi, Costacurta e Cannavaro. Ora ci dobbiamo accontentare del lunatico Balotelli e di un Immobile inchiodato sulle gambe. Le uniche due speranze: Verratti e Sirigu. Poi è tutto da rifare.

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