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Diritto di critica | April 27, 2024

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Italia, 150 anni e non sentirli - Diritto di critica

Italia, 150 anni e non sentirli

Buffon tra i pali. Cannavaro, Maraini, Boneschi in difesa. Barzini, Pirlo, De Rossi, Gregoretti e Palombo in mezzo. Zagrebelsky e Gilardino in attacco. Allenatore, Ciampi. Non è la novità proposta per i mondiali 2010 per ripetere i fasti della spedizione tedesca di quattro anni fa, ma una squadra azzurra adatta ad un ideale scontro con il governo sul campo delle celebrazioni dei 150 anni della fondazione dell’Italia. Una sorta di Italia-Padania, in cui il team di Pontida può contare sul tridente Maroni-Bondi-Calderoli, innescati dalle impostazioni del metronomo Tremonti e dal giovane funambolo Renzo Bossi. I campioni in carica Fifa contro quelli Viva.

Le celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario erano state affidate a comitati intitolati ai padri fondatori (Cavour, Garibaldi, Panunzio, e così via), finanziati dalle casse nazionali e affidati a un “comitato dei trenta saggi”, composto  intellettuali e personaggi di spicco del nostro Paese, dall’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky alla scrittrice Dacia Maraini, al lavoro dal 2007 per giungere al 2011 con un programma importante da tenere a Torino. Il tutto sotto la direzione generale del presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Ci ha pensato la manovra economica 2010 a scombinare i piani degli organizzatori, colpendo con pesantissimi tagli i fondi ritenuti, in precedenza, già di gran lunga insufficienti. Il Ministero dei beni e le attività culturali, guidato da Sandro Bondi e titolare delle risorse economiche del Comitato 150, si è impegnato a tagliare il 50% dei fondi da destinare agli enti “inutili”, con una mossa che ha portato al prosciugamento degli aiuti ai teatri lirici di tutta Italia, da mesi, come noto, sul piede di guerra, oltre che di quelli per i festeggiamenti dell’anno prossimo.

Il 22 aprile, in piena bagarre, Ciampi ha lasciato la presidenza, ufficialmente per motivi di età e mancanza di energie, passando il testimone all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato. Nel frattempo, in contrasto con le scelte di contenimento di costi da parte del Governo, Dacia Maraini, Marta Boneschi, Ludina Barzini, Ugo Gregoretti e Gustavo Zagrebelsky hanno polemicamente abbandonato il loro posto nel gruppo dei trenta. La crisi economica, evidentemente, c’era nonostante le rassicurazioni della presidenza del Consiglio e ha fatto, nella cultura, le sue vittime eccellenti. Il sottosegretario Gianni Letta non si è nascosto, dicendo che «nella manovra ci sono sacrifici molto pesanti, molto duri, speriamo provvisori». Ad aumentare l’urto della mannaia, ovviamente, la Lega Nord, con l’ennesima provocazione del ministro per la semplificazione Calderoli che, a “In mezz’ora” ha sentenziato il 2 maggio «La celebrazione ha poco senso, non so se ci saremo. Il miglior modo per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia è l’attuazione del federalismo» a cui il presidente Napolitano ha dovuto rivolgersi con un messaggio inequivocabile del 5 maggio, da Genova, città di partenza di Garibaldi e dei mille. «Le celebrazioni non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt’uno con l’impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti davanti a noi e non possono formare oggetto di polemica pregiudiziale da parte di nessuna forza politica». E ancora «Celebrando il 150/o dell’Unità d’Italia guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per rinnovare tutto quello che c’è da rinnovare nella società e nello Stato».

Quale occasione più ghiotta di fare demagogia, per i ministri leghisti, dei mondiali di calcio? Ed ecco, dopo il botta e risposta tra Roberto Maroni e Daniele De Rossi sull’introduzione della tessera del tifoso, il nuovo affondo di Calderoli che ha invitato al contenimento degli stipendi dei calciatori e degli eventuali premi della Federcalcio, in caso di piazzamenti positivi in Sudafrica, provocando le ire dei calciatori azzurri più esperti (Gigi Buffon «Non capisco come mai i politici cavalchino sempre l’onda dei Mondiali per lanciare certe sparate e poi fare retromarcia se le cose vanno bene» e Fabio Cannavaro «A Calderoli non rispondo nemmeno. Siamo un paese ridicolo»). Sfugge al ministro che le buste paga dei giocatori sono pagate dai rispettivi club, società private che nulla hanno a che fare con le casse statali e che le corresponsioni premio dopo il trionfo di Berlino 2006 furono finanziati dai compensi Fifa, e che comunque alla Federcalcio rimase un attivo di un milione e mezzo di euro, come ricordato dal capitano Cannavaro. Poi l’idea dei 23 in missione africana: devolvere una quota degli eventuali bonus al comitato per i 150 anni, in forte crisi e simbolo di quell’unità messa a repentaglio dalle politiche economiche, e non solo, di questo Governo, ancora al centro delle parole del numero 5 azzurro: «Noi uniamo, non dividiamo». Il plauso, stavolta, giunge dagli stessi colleghi degli avversari padani, come i ministri Larussa e Meloni.

In un periodo in cui il tricolore viene utilizzato solo come vessillo per le vittorie di una squadra di calcio, la stessa compagine ha deciso di elevarlo a simbolo vero di italianità. Contro chi, storicamente, ne afferma l’unica utilità per pulirsi le terga.

Italia – Padania, 1-0.