L’Albania si ferma per ricordare la rivoluzione: 20 anni fa l’addio al regime comunista - Diritto di critica
Il soffio della libertà, della democrazia sta scardinando in queste settimane le cristallizzate oligarchie dei paesi del nord Africa. Una novità nel panorama geopolitico che non ha precedenti nella storia. Una rivolta condotta dal ‘basso’, in primis da parte di giovani tunisini, egiziani e libici.
E lo stesso soffio di libertà arrivò quasi all’improvviso il 20 febbraio del 1991 in Albania. La notizia passò di bocca in bocca. I social network ancora non esistevano, ma la voglia di sovvertire quel regime comunista, che non lasciava spazio ai ragazzi ed al loro futuro, era troppo forte. Un movimento spontaneo capace di rivoluzionare gli equilibri all’interno della dittatura voluta da Enver Hoxha, il ‘padre’ dell’Albania stalinista.
Massicce manifestazioni studentesche e uno sciopero generale (che ebbe il suo momento più drammatico nell’astensione dal lavoro da parte di alcuni minatori, rimasti per dodici giorni nel sottosuolo), decretarono la fine del dispotismo, suggellato dall’abbattimento della statua dell’ex leader politico albanese in , al centro di Tirana.
Gli scontri tra l’esercito e gli studenti andarono avanti in quei mesi del 1991. Si contarono decine di morti e centinaia di feriti. Nulla di paragonabile, nei numeri, alla mole di omicidi compiuti in questi giorni dalle milizie di Gheddafi in Libia. Nelle elezioni seguenti alla rivolta di Tirana il partito comunista cambiò nome, mantenendo di fatto il potere. Durante la campagna elettorale vi fu un massiccio impiego della ‘strategia della tensione’ e questa strategia si dimostrò vincente. Il nuovo partito comunista, guidato dall’ex delfino di Hoxha (morto nel 1985), Ramiz Alia, ottenne il successo nelle elezioni del 1991, le prime consultazioni pluripartitiche della storia albanese.
Il leader del nuovo partito socialista d’Albania (ex partito dei Lavoratori) rimase al potere fino al 1992, quando il partito democratico d’Albania, di centro-destra, vinse le elezioni con il presidente Sali Berisha. Il seme della democrazia era stato trapiantato negli anni precedenti e non ha faticato a germogliare negli anni ’90. “Il comunismo è stato inventato dal diavolo”, esclamava un esponente del sindacato libero, in prima fila nella lotta al regime. “La povertà non è il principale problema – affermava uno dei minatori rimasti sottoterra per 12 giorni durante la rivolta di piazza Scanderbeg –. Vogliamo una vita degna di essere vissuta e nella quale un po’ di benessere consenta di vivere anche i valori spirituali, che sono i più importanti”.
Di lì a poco e nei mesi seguenti, grazie alla caduta del Muro di Berlino ed al disgregamento dell’Unione Sovietica, si assistette al proliferare in Europa dell’Est di nuovi esperimenti democratico/elettivi nei paesi che uscivano dall’esperienza del totalitarismo. Le difficoltà economiche nelle quali versavano i paesi dell’ex Unione sovietica stentarono a riprendersi. Molti giovani albanesi, in particolare, scelsero la strada della fuga e giunsero in Italia, su imbarcazioni di fortuna. L’esodo non è mai smesso, soprattutto sulle coste della Puglia e delle Marche.
Tuttora il paese, divenuto membro della Nato nel 2009, è una Repubblica parlamentare. In Albania la prima riforma legislativa, dopo la dittatura comunista, riguardò la nuova Costituzione, con la transizione da un sistema politico accentrato e statalista ad uno di tipo liberistico. La gestione statale dei beni fu sostituita con il ripristino della proprietà privata. Successivamente, come molti paesi dell’ex Unione Sovietica, fu intrapresa la lunga strada verso l’adeguamento ai programmi europei del Patto di stabilità e crescita secondo il protocollo del Trattato di Maastricht.
Enver Hoxha è stato il leader albanese più discusso nella storia del paese. Fervente marxista-leninista, ortodosso e grande ammiratore del dittatore Stalin, Hoxha prese come modello politico l’Unione Sovietica. A capo del partito comunista fin dal 1941, il leader politico originario di Argirocastro seguì fino in fondo l’ortodossia stalinista, anche quando il rapporto di Kruscev denunciò i crimini commessi dal regime sovietico. Ciò comportò un isolamento dell’Albania dal resto dei paesi dell’ex Unione sovietica. Ci fu nel 1960 un tentativo di avvicinamento alla Repubblica popolare cinese, approfittando delle tensioni con Mosca. Nel 1968 l’Albania si ritirò dal patto di Varsavia, in seguito all’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Unione sovietica.
La morte di Mao Tse-Tung, nel 1976, fu deleteria per i rapporti tra Cina e Albania, che si interruppero di lì a poco. Nel suo paese, Hoxha impose un programma di secolarizzazione, con il riconoscimento dell’ateismo nella Costituzione. Furono confiscati moschee, chiese, monasteri e sinagoghe. La repressione politica di Hoxha in Albania provocò migliaia di vittime. Il New York Times ha stimato che furono circa 5mila le esecuzioni politiche nel paese.
Ossessionato dall’ipotesi di un’invasione straniera, da parte del ‘mondo capitalista’, Hoxha fece costruire in tutta l’Albania, dal 1950 in poi, migliaia di bunker in cemento. Il loro numero, visto che non è stata ancora appurata la cifra esatta, dovrebbe aggirarsi attorno alle 500mila unità.