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Diritto di critica | April 15, 2024

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L'editoriale - L'8 marzo di Pasquino - Diritto di critica

L’editoriale – L’8 marzo di Pasquino

“Se dice ch’oggi è la festa de le donne, ma c’hanno fatto pe’ merità tanto? Sta a vede perchè portano e gonne c’hanno allupato quarche santo”. Inizia così un caustico “Inno alla Donna in libero lessico romanesco”, stampato e diffuso nella metro romana da un sedicente Pasquino 2011. Un foglio anonimo  dimostra come, ipocrisia a parte, l’8 marzo è ancora festa tutt’altro che condivisa tra gli uomini.

8 marzo 2011. Mentre le istituzioni festeggiano la donna nelle sue mille declinazioni (contro la violenza sulle donne, contro il sessismo dei luoghi di lavoro, contro il maschilismo e le prevaricazioni culturali), un anonimo romano dà alle stampe un libello caustico e aggressivo. Si firma Pasquino 2011, e come la nota statua del rione Campitelli parla fuori dai denti. Pretendendo, e forse a ragione, di esprimere il “pensiero dell’uomo comune”.

Le parole sono durissime. Le donne vengono disegnate come “boiacce zo***le zozzone”, interessate soltanto a “lasciare in mutande” gli uomini. Donne che “si lagnano, ma intanto come magnano!”. E che hanno rubato agli uomini la dignità, oltre ai pantaloni.

Può essere lo sfogo di un marito divorziato e frustrato, di un misogino all’ultimo stadio di veleno. Ma è strabiliante, nel 2011, lo scollamento tra il pensiero pubblico e il “sentire privato” che questo libello vorrebbe raccontare. Ipocrisia esponenziale. Se dovessimo dare valore di indizio a questo foglio, dovremmo accettare la scomoda realtà: ovvero che l’ignoranza non è diminuita ma aumentata negli ultimi anni, che il senso del rispetto nei confronti delle donne è fumo senza arrosto, che le manifestazioni ufficiali, le mimose, le trasmissioni dedicate alla condizione femminile non funzionano.

La donna ancora viene vista come inferiore (“ma noi hommini semo sempre li più forti, anche si schiattamo co’ li pantaloni corti”, è la chiusura del brano) da chi si riconosce in questo pamphlet. E se si dovesse azzardare un profilo, parleremmo probabilmente di un cinquantenne teledipendente, calciomaniaco, depresso e magari impotente. Informatissimo, in ultima analisi, del caso Ruby e dell’Harem di Arcore, di cui invidia il presunto “utilizzatore finale”.