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Diritto di critica | December 2, 2024

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Centocinquant'anni di un patriottismo a metà - Diritto di critica

Centocinquant’anni di un patriottismo a metà

Dopo tanto discutere, l’agognata celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia ha ragion d’essere. La pubblicità è ovunque e i preparativi fervono per onorare al meglio la ricorrenza. Oltre a manifestazioni e rappresentazioni previste in calendario da quasi tutti i comuni della Penisola, anche molti cittadini hanno fatto qualcosa “nel loro piccolo”. Per far sentire la propria affezione nei confronti dello Stato, ad esempio, su Facebook alcuni utenti hanno piazzato il tricolore come immagine del profilo. Altrettanti hanno invece concretizzato l’atto, esponendo la bandiera sui balconi (vento e clima permettendo). Il sentimento, dunque, sembra presente e condiviso.

Il patriottismo è improvvisamente risorto. C’è chi, a distanza di tempo, continua a dar merito anche a Roberto Benigni: dal palco di Sanremo, nel febbraio scorso, impegnò milioni di telespettatori decantando una sua personalissima esegesi dell’Inno di Mameli. Dopo tanto “torpore” è sufficiente l’ode di un comico (tale fu Benigni) per far risvegliare l’orgoglio nazionale? Negli Stati Uniti, nonostante il loro essere “Repubblica Federale”, il vessillo a stelle e strisce fa bella mostra di sé praticamente in ogni casa per 365 giorni all’anno. L’Italia, in concreto, si ricorda di essere “Nazione” in senso stretto solo in occasioni tanto pubblicizzate come quella odierna, oppure quando la nazionale di calcio (e solo questa) è impegnata nelle fasi finali di una competizione internazionale.

Il popolo italiano – quello sovrano per Costituzione – non scenderebbe mai in piazza se venisse modificato, al limite dell’imperio, un articolo della Carta, ma non ripensa due volte a riversarsi in strada per una Coppa del Mondo alzata da uno Zoff o un Cannavaro. Nel corso di altre kermesse (mondiali di ciclismo, Olimpiadi, Formula 1…) generalmente si tende a mostrare un freddo compiacimento, ma nulla più. Senza comunque togliere alcunché alla gioia e alla più che meritevole rappresentanza garantita dagli atleti, il luogo comune che avvolge lo Stivale è questo. Sporadiche sono le dimostrazioni atte a smentirlo. Viceversa, la “spaccatura” dell’Italia in tal senso è cronaca quotidiana.

I vari comportamenti dei membri della Lega Nord, utili in modo nettamente evidente a “boicottare” il senso della festività, sono ogni giorno sotto l’occhio della stampa. D’altro canto, in maniera più localistica, al sud prende campo la “sponda borbonica“: contrapposta sì a quella padana, ma non certo delicata con i vari Garibaldi, Mazzini o Vittorio Emanuele. Magari i libri di testo riportano revisionismi su Risorgimento e Guerre d’Indipendenza (per lo meno dal punto di vista dei nostalgici o dei secessionisti), ma di fatto è grazie alle battaglie (idealistiche e sul campo) di più uomini se l’Italia è attualmente “una ed indivisibile” (art. 5 Cost.).

Di questo passo, provocatoriamente parlando, la storia d’Italia potrebbe essere ridotta al goliardico spot di una nota compagnia di telefonia mobile, interpretato su tutti da Neri Marcoré. Leonardo e la Gioconda (vissuti a cavallo del 1500, tra l’altro) alle prese con le moderne tecnologie: un voluto anacronismo impossibile da prendere come modello realistico. Eppure questo potrebbe essere il risultato, dato che qualcuno sostiene – testualmente – che “il 17 marzo è bello xké nn si va a scuola!!!!!!!!!!!”. Per il resto, l’Italia potrà attendere altri 150 anni.

 

 

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