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Diritto di critica | April 20, 2024

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Chernobyl: 25 anni dopo tra turismo, corruzione e relitti umani - Diritto di critica

Chernobyl: 25 anni dopo tra turismo, corruzione e relitti umani

Venticinque anni sono trascorsi dall’esplosione del reattore di Chernobyl, che causò la morte di 65 tecnici e oltre 4mila persone nei mesi successivi. Non tutti se ne sono andati: a 30 km dalla centrale, una manciata di sopravvissuti si aggrappa alla terra. E, come tutte le tragedie, anche su questa si lucra: il luogo del più grande disastro energetico della storia è oggi un lunapark per appassionati di “luoghi abbandonati”, mentre sul nuovo sarcofago girano voci di corruzione.

Il villaggio di Tulgovich, a trenta chilometri dall’area interdetta di Chernobyl, contava mille abitanti nel 1986. Oggi solo pochi vecchi si muovono tra le case abbandonate, aspettando una volta la settimana un camionista che vende loro cibo e qualche attrezzo da lavoro. Al centro del villaggio, la vecchia scuola, in legno verniciato di verde e qualche vetro rotto, mai riparato. Sullo steccato esterno, Andrei Leonenko, ingegnere supervisore del sito, aggiorna ogni mattina un tabellone: riporta il livello di radiazioni registrato dalle apparecchiature su edifici, tratti di bosco, macchine. E persone.

A raccontarci lo scenario desolato sono le foto di Tatiana Zenkovich, fotografa dell’Epa, che a metà marzo è andata a visitare i paesi vicini alla centrale. Ne è nato un reportage drammatico e struggente, su una realtà che non ha nulla a che fare con la nostra. Uomini ridotti ad animali agonizzanti, animali che lentamente si riprendono gli spazi posseduti in altre epoche. La zona evacuata, infatti, è diventata rapidamente un luogo di ripopolamento degli animali selvatici: cervi, cinghiali, volpi. Anche i bisonti europei, sull’orlo dell’estinzione, sono ricomparsi nella riserva di Babchin, 15 chilometri a nord-est dalla centrale. I primi anni erano molti i capi vittime di mutazioni genetiche, spiegano all’Osservatorio della “State Radiation Ecology Reserve”: ma le generazioni si sono date il cambio in fretta, e l’assenza dell’uomo ha lasciato ampi spazi di ripopolamento agli animali. Ora c’è un discreto branco di cervi (circa 50-70 esemplari) e qualche decina di bisonti, che potremmo definire sani.

L’epicentro del disastro, invece, non dà segni di tregua. In occasione del 25esimo anniversario dell’esplosione, il governo di Minsk ha aperto i cancelli della centrale ai turisti. Non è una totale novità: già nel 2006 alcune zone dell’area evacuata furono aperte alle visite guidate, con biglietti di 200-400 dollari a persona per una giornata “nell’occhio del ciclone”. E le radiazioni? Ci sono ancora, ma secondo gli esperti non sarebbero forti abbastanza da minacciare i turisti. Si considera letale un’esposizione a radiazioni comprese tra 300 e 500 röntgen l’ora; oggi i livelli rilevati nella zone di visita variano da 15 a parecchie centinaia di microröntgen (la milionesima parte di un röntgen). A questi livelli, secondo l’agenzia, il pericolo può nascere soltanto da un’esposizione prolungata.

Di fronte al grande sarcofago di cemento e ferro, che trattiene a stento le radiazioni del reattore esploso, i turisti restano ammutoliti nelle maschere antigas. Pochi fanno caso ai pali di acciaio isolati che sorgono a poca distanza: si tratta delle fondamenta del nuovo sarcofago, che andrà a sostituire il precedente. Il progetto è stato affidato al consorzio francese Novarka nel 2007, ma i lavori sono ancora all’inizio.

“Non abbiamo le prove della corruzione, naturalmente, ma il progetto ne presenta tutti i sintomi” commenta Vladimir Tchurpov, direttore del dipartimento energetico di Green Peace Russia, facendo riferimento alle centinaia di migliaia di euro già inghiottite da un cantiere che stenta a decollare. Il direttore della zona proibita, Volodymyr Kholocha, tiene a precisare che oggi mancano 600 milioni di euro dei 1,5 miliardi necessari alla costruzione di un nuovo sarcofago. Il nuovo progetto, inoltre, “non prevede lo smantellamento del vecchio guscio e l’estrazione dei combustibili nucleari al suo interno”, chiarisce Nikolay Karpan, ingegnere della centrale dal 1969 e in seguito liquidatore delle conseguenze dell’incidente dal 1986 al 1989, attualmente direttore dei programmi di perizia del Partito nazionale di Chernobyl. “Quel proposito è stato completamente abbandonato e l’attuale progetto è solo un guscio vuoto, un semplice hangar che non risolve nulla“.