Italians - I nostri zii d'America: tra pregiudizi e Al Capone - Diritto di critica
di Emanuela De Marchi e Veronica Fermani
Quanti hanno uno zio d’America? Sicuramente non pochi dato che 16 milioni di americani hanno dichiarato di avere antenati italiani. Sono i discendenti dei sei milioni di immigrati italiani che a partire dal 1850 hanno deciso di lasciare tutto e attraversare l’Oceano alla ricerca di un lavoro. Cosa hanno trovato negli Stati Uniti? Cosa hanno passato per ottenere ciò che hanno oggi?
Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. (…) si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. (Da una relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Usa, ottobre 1912)
Meridionali negli Usa, solo una valigia di cartone. Gli emigrati italiani hanno dovuto lottare duramente contro terribili pregiudizi, ancora oggi non del tutto scomparsi. Lontani dalla propria terra, dai propri amici e parenti arrivarono in America alcuni solamente con una cassetta degli attrezzi, altri con delle valige di cartone e tanti progetti. Provenivano da tutte le regioni d’Italia ma i quattro quinti degli immigrati erano soprattutto calabresi, campani, abruzzesi, molisani e siciliani. Il restante 20% era del Centro e del Nord Italia. Molti di loro per la prima volta vedevano città così grandi e così moderne come quelle statunitensi. Per sentirsi meno distanti da casa cercavano di riprodurre e rivivere qualsiasi cosa che li potesse riportare alla quotidianità italiana. Dal cibo alle feste dei patroni dei propri paesi, non mancava niente nelle “little Italies”. Ma tutto questo non faceva che renderli così diversi dagli americani che li deridevano ed emarginavano.
Si suppone che l’Italiano sia un grande criminale. (…) L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. (…) Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. (Dal “New York Times”, 14 maggio 1909)
Le seconde generazioni. Per le seconde generazioni non fu più facile. In un limbo tra l’Italia e gli Stati Uniti, i figli degli emigrati italiani crescevano secondo le tradizioni e l’educazione della propria famiglia ma nella realtà di tutti i giorni si vergognavano dei loro cognomi così melodiosi, si vergognavano di una cultura che non li aiutava ad integrasi e che anzi li rendeva gli zimbelli della scuola. Presi in giro da tutti per le merende a base di panini con la salsiccia e le verdure, per i loro vestiti rattoppati e il loro inglese con un forte accento italiano, gli italiani di seconda generazione erano vittime di un conflitto tra stili di vita diversi che sentivano contemporaneamente di appartenergli e non.
La mafia e il contrabbando. Lo sviluppo ed il successo del crimine organizzato italiano non fecero che peggiorare drasticamente la situazione. Ancora oggi i cognomi italiani sono sinonimi di mafia. Alcuni dei valori tipici della cultura contadina del tempo crearono una certa propensione all’illegalità. Si trattava del cinismo nei confronti di istituzioni come la giustizia e le leggi, la convinzione che il forte domini sempre il debole e l’assoluta fedeltà alla famiglia. Un mix esplosivo tra antiche convinzioni e una realtà particolare e del tutto nuova come quella americana che determinò l’emergere di criminali leggendari come Al Capone. La fortuna del leggendario Capone fu il divieto di produrre e vendere bevande alcoliche. La maggior parte delle famiglie italiane producevano da sé il vino e potevano farlo anche per molti americani. Iniziò così il contrabbando di liquore che fu la ricchezza di molti. L’abilità di Al Capone fu proprio quella di dominare ed organizzare la produzione e la distribuzione illegale di alcol.
Affermarsi contro il pregiudizio. Nonostante gli ostacoli e le difficoltà, diversi italiani sono riusciti ad affermarsi e a ricoprire importanti cariche statali. Tra questi bisogna ricordare Fiorello La Guardia eletto al Congresso degli Stati Uniti e successivamente sindaco di New York, Geraldine Ferraro che nel 1984 fu candidata vicepresidente. Nessun italo-americano era ed è mai arrivato così vicino alla Casa Bianca. D’ostacolo alla Ferraro le accuse di avere legami con la criminalità organizzata. A causa di questi pregiudizi, tuttora sembra difficile che un americano di origini italiane possa riuscire a diventare Presidente degli Stati Uniti.
Giornali e film, i luoghi comuni si amplificano. I media americani, sfortunatamente, sin dagli anni ’80 dell’Ottocento, hanno contribuito alla diffusione ed al radicamento di un immagine negativa e stereotipata degli italiani descritti come ignoranti, sporchi, pigri, criminali assetati di sangue. Linciaggi, violenze, accuse infondate, gli italiani sempre più spesso erano vittime di una società che non riusciva ad avere che un’idea negativa successivamente, ulteriormente amplificata dai film di Hollywood.
Fascismo, Mussolini e la guerra. L’ascesa del Ku Klux Klan, il periodo del proibizionismo e delle misure volte alla restrizione dell’immigrazione resero un incubo l’esperienza americana di molti italiani ed italo-americani. I pregiudizi e la forte diffidenza nei confronti degli stranieri vittime di una xenofobia crescente spinsero questi ultimi a cercare un rifugio nelle parole di Mussolini che prometteva un’Italia moderna ed influente. Data la situazione che avevano lasciato quando erano partiti, vedevano nelle novità e nelle trasformazioni portate dal fascismo dei segnali di progresso. Tutto questo entusiasmo, però, sparì bruscamente con la dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti l’11 dicembre 1941. Durante il conflitto, 600mila Italiani non naturalizzati furono considerati “nemici stranieri” ed in quanto tali furono costretti ad adeguarsi ad una serie di misure restrittive sia residenziali che occupazionali. Il clima di ostilità determinò lo smembramento delle organizzazioni italo-americane, l’abbandono dell’insegnamento dell’italiano, delle celebrazioni tradizionali ed i nomi delle attività e delle famiglie furono anglicizzati.
Il dopoguerra e l’ “americanizzazione”. La seconda guerra mondiale segnò l’inizio di una nuova fase per gli Italo-americani, determinando un allontanamento dal proprio paese d’origine e conseguentemente una più decisa e veloce integrazione nella società americana. Fu l’inizio dell’integrazione italiana e progressivamente e molto lentamente l’inizio del mutamento dell’immagine dell’Italiano in America, anche se certi luoghi comuni rimasero per lungo tempo.
Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopotutto non si possono rimproverare. Oh, no. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto noi. Il guaio è…. che non ne riesci a trovare uno che sia onesto. (Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti d’America, 1973)