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Diritto di critica | July 27, 2024

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Il bluff di Durban, l'accordo sul clima operativo tra nove anni - Diritto di critica

Il bluff di Durban, l’accordo sul clima operativo tra nove anni

Dopo giorni estenuanti di trattative, interventi e meeting a Durban i Paesi dell’Onu hanno raggiunto un compromesso, non immediato ma almeno concreto. Già dal prossimo anno, infatti, un gruppo di lavoro costituito appositamente comincerà a definire anche in termini giuridici le basi di un accordo scritto salva-clima entro il 2015, che entrerà in vigore dal 2020. E il tanto bistrattato Protocollo di Kyoto avrà un seguito anche dopo il 2012, sebbene verrà seguito solo da Europa e pochi altri Paesi industrializzati (Giappone, Canada e Russia hanno confermato la loro uscita).

La 17esima Conferenza sul clima, prolungata ad oltranza per due giorni oltre la data di chiusura prevista, si è conclusa quindi con una speranza per le generazioni future. Anche perché gli studi di scienziati e climatologi parlano chiaro: le emissioni di gas serra vanno ridotte.

E a lasciare Durban ancora scettici sono gli ambientalisti e soprattutto i rappresentanti delle piccole isole del Pacifico (riuniti nell’Aosis, Alleanza dei piccoli Stati insulari), che rischiano l’affondamento a causa dell’innalzamento dei mari: «L’accordo raggiunto non è abbastanza forte, sarà dura contenere l’aumento della temperatura terrestre entro i due gradi», dicono.

Alla Conferenza non è stato facile convincere Paesi refrattari da sempre come Stati Uniti, Cina e Brasile, ma il lavoro diplomatico di Unione Europea, America Latina e molti Stati africani ha prevalso sugli altri. All’annuncio delle conclusioni del summit, diretto dal Ministro degli Esteri del Sudafrica Maite Nkoana-Mashabane,  applausi a scena aperta.

Ora per la comunità internazionale il problema da affrontare sarà quello di “contenere”, nei prossimi otto anni, quindi fino all’entrata in vigore dell’accordo, le emissioni di gas inquinanti da parte di Nazioni emergenti come India, Messico, Brasile e lo stesso Sudafrica. Ma anche gli Stati Uniti, che non hanno mai firmato il Protocollo di Kyoto ed emettono da soli il 35% del biossido di carbonio intrappolato nell’atmosfera. Stesso discorso vale per l’immensa Cina, che però sta spiazzando Washington. I delegati cinesi, infatti, hanno mostrato disponibilità alla riduzione di gas inquinanti al 2020, e anzi hanno illustrato la loro svolta “green”: leader nel fotovoltaico e nell’eolico, Pechino ha ridotto di 1,5 miliardi di tonnellate l’emissione di anidride carbonica, prevedendo un ulteriore 40% di miglioramento entro 8 anni; nei prossimi 5 anni, invece, investirà 250 miliardi di euro in energie pulite e produrrà un milione di auto elettriche.

I Paesi dell’Onu a Durban hanno anche dato via libera al Fondo Verde, un pacchetto di 100 miliardi di dollari (la fonte di erogazione del sussidio deve ancora essere definita) stanziati da qui al 2020 per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad agire contro il riscaldamento globale.

Previsti inoltre nuovi incentivi per il risparmio di Co2 e la protezione di foreste e aree sensibili al cambiamento climatico.

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