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Diritto di critica | April 19, 2024

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Equo compenso, la legge che in Senato non vogliono - Diritto di critica

Equo compenso, la legge che in Senato non vogliono

di Chiara Baldi

Ormai è certo: qualcuno, in Senato, sta ostacolando la legge sull’equo compenso giornalistico. Qualche sentore, per la verità, lo avevamo avuto: la settimana scorsa, infatti, il Ministro del Lavoro Elsa Fornero aveva detto che di questa legge, lei, «non ne vede la ragione», confermando un pensiero esplicitato già mesi fa, e cioè che, secondo Fornero, i giornalisti sono dei «privilegiati» che in periodi di crisi devono fare sacrifici come tutti. Il Presidente dell’Odg Enzo Iacopino, sulla sua pagina facebook, aveva quindi invitato tutti i colleghi giornalisti ad inviare al Ministro l’ultima busta paga, così per farle vedere di che privilegi godono.

Poi, ieri, la conferenza stampa in Senato per fare il punto sulla situazione. Oltre a Iacopino, presenti anche il Presidente della Fnsi Roberto Natale, il segretario dell’Assostampa Romana Paolo Butturini, il Presidente della Commissione Nazionale Lavoro autonomo Giovanni Rossi, il coordinatore della Commissione Nazionale Lavoro Autonomo della Fnsi Maurizio Bekar e alcuni senatori tra cui Vincenzo Vita, Tamara Blazina, Silvano Moffa, Enzo Carra, Felice Belisario, Elio Lannutti e Giacomo Santini. E poi, ancora, a raccontare di “privilegi” e pezzi pagati 4 euro lordi ciascuno c’erano loro, i precari, attraverso la voce di Marta Rossi di Errori di Stampa, Moira di Mario (coordinamento giornalisti precari e free lance di Stampa romana) e Mariella Magazù di GiULiA (Giornaliste unite libere autonome).

Loro, vera forza di questa legge che sta incontrando troppi ostacoli, hanno spiegato perché non si può prescindere dall’approvazione dell’equo compenso giornalistico: perché oggi, in Italia, i giornalisti precari contribuiscono per oltre il 50% alla realizzazione di quotidiani, periodici, radio, tv e testate online. E allora, cos’è che blocca l’approvazione di una legge che, alla Camera, ha avuto il parere favorevole persino del Governo? A spiegarlo senza troppi giri di parole è Maurizio Bekar che è, prima di essere coordinatore Fnsi, un giornalista precario, uno di quelli «over 50, ché non sono solo giovani i precari»: «la verità – dice – è che questa legge dà fastidio ai datori di lavoro, agli editori. Il giornalista non ha clienti: ha un datore di lavoro che decide quali sono le condizioni di lavoro». E ha anche spiegato che, malgrado tutti i tecnicismi dietro cui Fornero e Paolo Peluffo (che è un giornalista ma è anzitutto Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) si barricano, questa legge non ha alcuna spesa per lo Stato, non avrà rimandi ad una eventuale legge sull’editoria, non è possibile inserirla nel discorso della riforma del lavoro di Fornero perché i giornalisti ne sono esclusi in quanto professionisti e, da non dimenticare, loro non fanno riferimento all’Inps ma all’Inpgi, che viene totalmente pagato dagli stessi giornalisti. Ecco perché, conclude Bekar, si può dire con assoluta tranquillità che l’equo compenso non richiede alcun tecnicismo né si può continuare a dire, come sostiene la stessa Fornero, che la nuova riforma del lavoro riguardi i giornalisti.

Quindi, il problema sono gli editori: editori che sono una lobby che sicuramente pesa molto di più a livello politico dei giornalisti precari e che quindi può impedire che una legge, la cui approvazione richiederebbe solo «quindici minuti e tre emendamenti», assicura Iacopino, venga approvata. Perché il punto, a differenza di quanto dice Fornero, non è che l’equo compenso sarebbe già previsto nell’articolo 63 della nuova riforma del lavoro (la riforma, come detto, non riguarda i professionisti), ma il fatto che gli imprenditori considerino disdicevole pagare equamente tutti quei giornalisti che fino ad ora sono stati pagati 4 euro lordi a pezzo. E a questo si collega anche la questione sottolineata da Marta Rossi di Eds, e cioè il fatto che nessuno di questi editori applichi il contratto nazionale di lavoro giornalistico: «esiste – dice Marta – perché non lo si fa rispettare?». Una bella domanda, in effetti.

Per Rossi, l’approvazione della legge non è solo una questione morale, come ha già sostenuto più volte Iacopino, ma anche una «questione democratica: se le condizioni economiche per i giornalisti sono quelle che conosciamo, allora dobbiamo intervenire per ripristinare il livello informativo nel Paese». Infatti, pagare poco chi fa informazione vuol dire anche, e soprattutto, fornire informazione scadente, che in un Paese democratico non è minimamente tollerabile. Ma siamo sicuri che sia solo una questione morale e democratica? Non è prima di tutto una questione economica? Se oltre 20mila giornalisti guadagnano cifre che sono spesso sotto i diecimila euro l’anno, come possiamo pensare che questi possano vivere in una condizione economica soddisfacente che permetta loro di contribuire anche alla crescita economica del Paese? Ovviamente, sarebbe assurdo pensarlo. Ecco perché l’equo compenso è importante: il punto di partenza di un percorso ormai non più rimandabile.

Eppure, nonostante la mail del portavoce del Governo ad una cittadina, in cui dice che l’equo compenso ha ottenuto il parere favorevole anche in Senato e che è stato solo momentaneamente accantonato per far spazio ad altri procedimenti, il Presidente della Commissione Autonoma del Lavoro in Senato Pasquale Giuliano smentisce di aver ricevuto il tanto atteso “sì”. E quindi, ancora, i giornalisti dovranno attendere a questo punto probabilmente l’autunno o, come teme qualcuno, la nuova legislatura, per sperare di veder approvata una legge che spetta loro di diritto. Il diritto di essere pagati equamente per la lavoro che si svolge ogni giorno.

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