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Diritto di critica | November 9, 2024

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Ecco cosa c'è dietro alla guerra in Siria

La “Primavera Araba” ha portato alla caduta di regimi al potere da decenni in Tunisia, Egitto e Libia e ad una transizione verso la democrazia. Oggi i primi due sono guidati da governi democraticamente eletti, mentre in Libia c’è un governo di transizione (CNT) che ha il compito di condurre il paese alle sue prime elezioni.

La Siria “resiste”. In Siria invece la situazione è ben diversa: le proteste iniziate nel marzo del 2011 e sviluppatesi poi su scala nazionale sono degenerate in una sanguinosa guerra civile tutt’ora in corso che ha messo il paese in ginocchio ed ha causato un altissimo numero di vittime civili. Nonostante i pesantissimi colpi inflitti dai ribelli, le diserzioni di molti militari anche di alto rango e le uccisioni di uomini vicini a Bashir Assad, il regime siriano riesce in qualche modo a restare in piedi e, in alcuni casi, ha anche dimostrato la capacità di riprendersi zone precedentemente conquistate dai ribelli. Com’è possibile che un regime ormai in ginocchio, isolato, preda di pesanti spaccature interne, assediato da forze rivoluzionarie verosimilmente appoggiate dall’estero, riesca comunque a mantenere in qualche modo il potere, a combattere e, in certi casi, persino ad assestare qualche colpo a un’opposizione in forze? Come mai Bashir Assad resta attaccato al potere con le unghie  e con i denti pur consapevole della fine che ha fatto Gheddafi per aver deciso di non cedere il potere e per aver compiuto un massacro nei confronti del popolo libico?

Assad come Gheddafi? Ci si poteva aspettare una decisione del genere da un Muhammar Gheddafi, figura discutibilissima ma senza ombra di dubbio munita di carisma, cresciuto nell’esercito, un combattente, autore di un golpe con cui prese in mano le redini del paese portandolo verso la cosiddetta “terza via” con la quale cercò di coniugare panarabismo e socialismo, autore di una precisa visione politica e filosofica esposta nel suo “Libro Verde”. Ben diverso è invece il profilo di Bashir Assad: medico con specializzazione in oftalmologia al Western Eye Hospital di Londra e figlio secondogenito di Hafez al-Assad; Bashir finì per ricoprire la posizione di “rais” in seguito alla morte in un incidente d’auto del fratello maggiore Bassel. I perversi meccanismi di “regime dinastico” portarono dunque il giovane medico privo di esperienza politica all’arruolamento presso l’accademia militare di Homs, dove uscì con il grado di colonnello, requisito fondamentale per il necessario appoggio dell’establishment militare siriano.

L’Iran, dietro. Bashir non dà certo l’idea del “tenace dittatore” pronto al massacro pur di non cedere una carica non solo inaspettata ma, forse, anche accettata malvolentieri. È molto probabile, invece, che dietro questa ferrea resistenza del regime ci sia l’Iran. Sono infatti in molti a ritenere non solo che il regime di Teheran rifornisca quotidianamente Damasco, utilizzando tra l’altro voli di linea, ma che abbia anche dispiegato le proprie Guardie Rivoluzionarie in territorio siriano con l’obiettivo di fornire supporto all’esercito regolare di Assad. Ciò non risulta difficile da credere visto che durante la guerra tra Israele e Hezbollah nel 2006 vennero trovati in territorio libanese i corpi di membri delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, accorsi in aiuto della milizia sciita.

Un alleato fondamentale. Il regime iraniano è consapevole delle drammatiche conseguenze che vi sarebbero una volta caduto Assad in quanto la “colonna vertebrale” dell’asse sciita verrebbe spezzata. L’Iran perderebbe così uno sbocco sul Mediterraneo di vitale importanza strategica, non potrebbe più contare sul suo unico alleato in Medio Oriente munito tra l’altro di un esercito tra i più potenti dell’area e avrebbe grosse difficoltà a rifornire le milizie sciite libanesi di Hezbollah, le quali a loro volta si troverebbero isolate e a quel punto anche la loro potenziale pericolosità verrebbe notevolmente ridimensionata non potendo più contare sul sostanziale appoggio esterno. Un ulteriore isolamento che non solo aggraverebbe la posizione di Teheran, già in notevole difficoltà a causa delle sanzioni legate al programma nucleare, ma potrebbe anche rafforzare l’opposizione iraniana e il “movimento verde” anti-regime.

Una questione strategica. La guerra in Siria e l’appoggio dell’Occidente e dei paesi sunniti all’opposizione siriana potrebbe risultare agli occhi del regime di Teheran come prima fase di un potenziale attacco che prevede in primis la neutralizzazione della sua “cerchia esterna” e poi, una volta isolato, un attacco diretto ai suoi siti nucleari ed alle installazioni militari. Tutto ciò ovviamente con il consenso di paesi arabi di stampo sunnita come Arabia Saudita ed Emirati Arabi che non vedono di buon occhio l’influenza iraniana nel Golfo Persico e che partecipano attivamente alle esercitazioni militari nello stretto di Hormuz assieme alle marine di Usa e Gran Bretagna.

È però di fondamentale importanza che Israele non dia autonomamente il via a un potenziale attacco ai siti nucleari di Teheran e non è un caso che Washington e Londra si oppongono fermamente un tale intervento in quanto rischierebbe di riconsolidare quella “solidarietà islamica” anti-israeliana recentemente indebolita dai pesanti scontri tra sciiti e sunniti.

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