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Diritto di critica | April 16, 2024

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Ci sono i Sallusti e i signor nessuno

Non si può andare in galera per diffamazione. Certo. Ma questa generale difesa di Alessandro Sallusti è francamente esagerata. “È a rischio la libertà di espressione”, si legge su vari quotidiani. Ma si dimentica un piccolo dettaglio: qui non ci troviamo di fronte ad un errore inconsapevole del giornalista. Qui ci troviamo di fronte ad un attacco a mezzo stampa nei confronti di un magistrato che ha autorizzato una minorenne ad abortire senza l’assenso dei genitori.

La storia del magistrato laicista, barbaro e un po’ comunista. La storia raccontata dall’ “agente Betulla” nell’articolo incriminato e scritto sotto pseudonimo, riguarda un magistrato cattivo che ordina alla ragazzina – favorevole a portare a compimento la gravidanza – di abortire. “Sul piano legale, questo caso così doloroso è uguale a quello di qualsiasi minorenne che voglia interrompere la gravidanza senza il consenso dei genitori”, spiega l’ufficio del giudice tutelare. “Valutiamo la situazione, i suoi motivi, e se sono validi la autorizziamo a decidere autonomamente”.

“A morte!”. Ma “Betulla” (in arte Dreyfus) non si limitò a riportare i fatti in maniera non corretta, ma commentò con durezza la notizia: “Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice”. Parole che hanno fatto infuriare il giudice in questione, Giuseppe Cocilovo, il quale ha querelato l’allora direttore di Libero Sallusti.

E la rettifica? Sia sotto il profilo civile che sotto quello penale, la responsabilità per il reato di diffamazione ricade sull’autore dell’articolo e sul direttore responsabile della testa. In genere, quando l’autore è identificabile dalla firma o dalla sigla, il direttore viene condannato per omesso controllo. Ma in questo caso, non solo Sallusti si è rifiutato di dichiarare il nome dell’autore dell’articolo incriminato, ma nemmeno ha pubblicato una rettifica con tanto di scuse nei confronti del magistrato. E solo ieri, dopo la conferma della condanna da parte della Cassazione, Renato Farina, già “agente Betulla”, si è palesato quale autore della diffamazione. Una tempistica decisamente sospetta che lascia grossi dubbi sulla vicenda. Forse il desiderio di sollevare un caso, non tanto contro quella norma che trae origine dal fascismo, piuttosto per attaccare la Magistratura “manettara”.

Lui sì, i free lance no. Ma è chiaro che qui si tratta di tutto tranne che di reato di opinione. Tuttavia, la casta dei giornali protegge se stessa e alza barricate. Ma il tema sollevato da Sallusti è involontariamente un altro e molto più grave: i free lance, quelli che mandano avanti le redazioni producendo l’80% dei contenuti si devono autocensurare, gli altri no, visto che sono protetti alle spalle da assicurazioni ed editori potenti. I primi sanno bene che, a torto o a ragione, non hanno possibilità economiche di affrontare un processo contro grosse aziende o importanti persone. I secondi usano il loro potere per insultare e infangare il prossimo. Alla faccia della libertà di stampa. E la depenalizzazione del reato di diffamazione a mezzo stampa non cambierà questa realtà che, a quanto pare, fa comodo a tanti.

Twitter: @PaoloRibichini