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Diritto di critica | July 27, 2024

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L'Italia di "Reality" fa centro anche al cinema

A distanza di quattro mesi dal Festival di Cannes, dove ha vinto il Grand Prix della giuria, si torna a parlare di “Reality”, di Matteo Garrone, finalmente giunto nei cinema italiani e già nella cinquina dei film più visti dello scorso weekend. Con la storia di un pescivendolo napoletano che desiderando di entrare nella casa televisiva del Grande Fratello arriva a perdere se stesso, c’era il rischio concreto, per il regista, di un semi fallimento dopo i fasti di “Gomorra”. E invece il film riesce a stare in equilibrio e ad evitare di cadere nel grottesco o nel banale.

Il protagonista Luciano e la sua numerosa famiglia, infatti, sono l’emblema di un’Italia sempre più fagocitata dal meccanismo mediatico e televisivo, un’Italia che elogia falsi eroi (vedi il trattamento che nel film viene riservato ad Enzo, un ex concorrente di reality, idolatrato e pagato per presenziare a feste e matrimoni) e promuove la tv ad unico oggetto di sogno per arrivare alla ricchezza e al successo personale. L’intravista possibilità di partecipare al Grande Fratello, e abbandonare così un’esistenza di stenti e piccole truffe, porta Luciano, novello Don Chisciotte alle prese con i mulini a vento della popolarità, a perdere la cognizione di sé e a scivolare piano piano nel virtuale, nell’effimero («Shock da Grande Fratello», sentenzia il dottore alla moglie).

In due ore piene Garrone dipinge un delizioso acquerello napoletano, ironico, vivo, ricco di voci e colori, che esalta la dimensione domestica e familiare della commedia all’italiana: «Il mio film è molto vicino alle atmosfere di Eduardo de Filippo, di Monicelli, a “Matrimonio all’italiana” di De Sica – ha detto il regista – Abbiamo cercato di trattare i personaggi con umanità. Da una parte il desiderio di evasione. Dall’altra il contagio che parte dalla famiglia. La trappola contemporanea non è solo il voler apparire, ma esistere, essere in tv per certificare la propria esistenza». Il non riuscirci disorienta e sconvolge. Aperta ad ogni interpretazione la panoramica finale che Garrone fa della casa del Grande Fratello a Cinecittà, unica luce in un’inedita Roma buia e desolata, quasi fosse il centro di tutto e la realtà alla quale fare riferimento: «Non siamo più esseri pensanti, ma compranti. Siamo pronti a rinunciare alla nostra vita per avere un posto in un paradiso che è solo quello televisivo. Viviamo nel paese dei balocchi».

Il quadro di “Reality” funziona, fa sorridere e riflettere. Merito anche del lavoro corale degli attori, quasi tutti provenienti dal teatro partenopeo, perfettamente amalgamati tra loro e guidati da una telecamera attenta e paradossalmente curiosa di entrare nelle loro vite, come accade nei reality televisivi. La cinepresa segue da vicino, a tratti persino con invadenza, le azioni e gli stati d’animo dei personaggi, assumendo talvolta completamente il loro punto di vista. I primi piani sono ritratti dal sapore documentaristico, le pause durante i dialoghi sono studiate attentamente.

Un racconto fedele senza però la presunzione di dare giudizi o trovare soluzioni: «Abbiamo cercato di narrare – ha spiegato ancora Garrone – evitando la denuncia o l’intento pedagogico. Non volevo fare un discorso moralistico. È tipico della società dei consumi restare impigliati nei sogni».

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Comments

  1. Film assolutamente da vedere. Se non siete andati ancora, affrettatevi!