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Diritto di critica | July 27, 2024

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Danni ambientali e relazioni commerciali forzate, lo scacco della Cina all’America Latina

deforestazioneLa nazione più popolosa al mondo è entrata nel novero dei paesi più ricchi del mondo, in Europa, Nord America e Asia Orientale che hanno a lungo consumato e inquinato in maniera insostenibile per il pianeta. Nello “speciale club” degli sfruttatori delle materie prime, la Cina ha ingaggiato col resto del mondo una corsa per quelle risorse non ancora sfruttate, rimaste incontaminate. Ancora di più dell’Africa, l’America Latina è diventato un obiettivo sensibile e concreto per Pechino.

Uno studio, condotto lo scorso anno dal professor Enrique Dussel Peters, professore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, ha scoperto che la gran parte degli investimenti diretti della Cina sono rivolti all’America Latina e gestiti da aziende come Chinalco e CNOOC. Dal 2008, anno della crisi finanziaria, la Cina è diventato il principale creditore della regione. Nel 2010 ha destinato più di 28 miliardi di euro in assunzioni e infrastrutture per le estrazioni di materie prime in Venezuela, Brasile, Argentina ed Ecuador. Più della Banca Mondiale, Interamericana e quella Import-Export statunitense.

I benefici economici sono stati enormi. Gli scambi commerciali tra Cina e America Latina, che nel 2000 erano circa 7 miliardi di euro, nel 2011 sono saliti a 187 miliardi. Anche se la distribuzione di denaro è stata estremamente varia da paese a paese, gli introiti hanno aiutato l’America Latina a evitare il peggio della crisi finanziaria ed economica che ha colpito gran parte del mondo occidentale. I soldi hanno sostenuto programmi di riduzione della povertà attenuando le diseguaglianze sociali nei paesi. Venezuela ed Ecuador sono stati in grado di accedere ai mercati internazionali di capitali in quanto paesi inadempienti, ricevendo prestiti provenienti dalla Cina. L’Argentina, attualmente, è alla ricerca dello stesso trattamento.

Lo sfruttamento delle risorse, se da un lato porta soldi freschi, dall’altro penalizza fortemente l’ambiente.
La natura degli scambi commerciali tra Cina e America Latina, se è buona in termini di Pil, non si presenta vantaggiosa in termini di sviluppo. I fornitori di materie prime sono felici per la grande domanda, ma i produttori si lamentano per il flusso di importazioni cinesi a basso costo, che minano la loro competitività. Il presidente del Brasile Dilma Rousseff vorrebbe cambiare la natura degli scambi commerciali con la Cina, ponendo una maggiore enfasi sulla scienza e la tecnologia al posto della soia, petrolio e ferro. L’inquinamento e l’estrazione delle risorse pesanti non sono nuove per l’America Latina, già assaltata dai tempi di Cristoforo Colombo e Vasco de Gama. Le imprese cinesi non sono migliori di quelle occidentali: la statunitense Chevron, per esempio, deve affrontare una causa da 15 miliardi di euro per l’inquinamento dell’Amazzonia ecuadoriana.

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