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Diritto di critica | March 28, 2024

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Caos Pd, niente Palazzo Chigi per Renzi. Stop da Berlusconi

Renzi“Dicono che io sia ambizioso. È vero”. Matteo Renzi non è uno che le manda a dire. Ha fatto tutta la sua campagna elettorale per le primarie proprio sul concetto: “Noi le cose le diciamo in faccia”. E così, senza giri di parole, rivela – se mai ce ne fosse bisogno – la sua anima intraprendente durante la trasmissione Otto e mezzo condotta su La7 da Lilly Gruber.

Renzi e i “traditori”. Il sindaco di Firenze è stato accusato di tutto: un berlusconiano nei panni dell’uomo di centro-sinistra, un pugnalatore, un traditore e chi più ne ha più ne metta. Ma la realtà di questi giorni nel Pd è ben più articolata di quanto certa nomenclatura conservatrice dei democratici lasci intendere. Renzi ha certamente la “colpa” di aver bloccato Franco Marini per il Colle e aprire nel Pd un dibattito che ha portato in pochissime ore al crollo della dirigenza. Ma lo ha fatto “faccia a faccia”, dichiarando prima del voto il non appoggio all’ex sindacalista abruzzese. Ma contro Marini si sono schierati anche molti altri come la stragrande maggioranza dei “giovani turchi”. Quello che si è generato dopo appare come una vendetta, questa volta contro Renzi ma anche contro lo stesso segretario Pier Luigi Bersani, colpevole – secondo molti – di aver gettato il partito nelle braccia del Cavaliere.

Un problema di strategie. I voti contrari nel Pd sia a Marini che a Prodi sono stati ben oltre i 55 attribuiti ai renziani. Il primo avrebbe concentrato su di sé i voti contrari dei detrattori dell’accordo con il centro-destra, il secondo quello dei dalemiani (principali fautori dell’ “inciucio”) e di parte dei cattolici. Lo stesso Fioroni, con una strana excusatio non petita, mostrava sul telefonino la foto scattata della sua scheda elettorale per mettersi al riparo dagli attacchi del partito. Insomma, un Pd in guerra, un tutti contro tutti che ha poco a che vedere con la ventilata (dopo sei anni dalla nascita del Pd) “fusione a freddo” tra Ds e Margherita. Le posizioni politiche contano, ma contano poco. Si tratta piuttosto di visioni differenti su strategie presenti e future. Non a caso un giovane turco come Matteo Orfini si schiera, sorprendentemente, con Matteo Renzi.

Per ora D’Alema ha vinto. Tuttavia, la convergenza su Napolitano ha, però, fatto rientrare nei ranghi il sindaco di Firenze e i “traditori” di occulta provenienza. Il Pd si è ricompattato momentaneamente ed è prevalsa la linea dell’accordo, facendo ricadere il peso del tutto non ad una scelta politica del partito, ma al volere del Presidente della Repubblica anche grazie ad un passo indietro di Renzi.

Il veto (preoccupato) di Berlusconi. Il sindaco di Firenze, nonostante una sconfitta personale sul nome di Prodi e sul tentativo di chiudere ad un accordo con il centro-destra, esce da questa situazione rafforzato. Se ieri il suo nome era girato insistentemente come possibile nuovo premier, le probabilità che oggi venga incaricato sono diminuite drasticamente. Ieri sia il Pd (in maniera ufficiosa ma non ufficiale) e il Pdl avevano avanzato la sua candidatura: il modo migliore per bruciarlo e per farlo rientrare nei ranghi visto che guidare un governo di larghe intese è un’impresa complicata ed elettoralmente improduttiva. Tuttavia, in serata Silvio Berlusconi, però, ha cambiato idea: “Non possiamo rischiare di dargli tutta questa visibilità”, ha detto ai suoi. Così, per ora, la sua corsa a Palazzo Chigi viene frenata. Berlusconi, ancor prima di D’Alema, tenterà di allungare il più possibile questa legislatura, sperando che la popolarità del sindaco di Firenze (impressionante a guardare i sondaggi da novembre ad oggi) cali inesorabilmente con il passare del tempo.