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Diritto di critica | September 1, 2024

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Maroni-Grillo, pacifici ma con i fucili

maroniI toni sono importanti in politica. Fanno audience immediata se sono gridati, garantiscono autorevolezza se sono pacati. La Lega e il MoVimento hanno sempre preferito il primo genere: minacce, accuse dirette, ironia estrema sugli avversari. All’indomani dell’attentato di Luigi Preiti a Palazzo Chigi, sia Grillo che Maroni deprecano il gesto e si dicono “pacifici”: eppure uno condivideva le “sparate” di Bossi con piglio partecipe, l’altro evocava pochi mesi fa un bombardamento su Roma. 

Vent’anni di fucili leghisti. Ma Grillo è quasi simpatico nel fare queste battute. Molto peggio, soprattutto per le intenzioni  e per i fatti, è la linea “violenta” mai veramente abbandonata dalla Lega. Umberto Bossi ha lanciato per vent’anni minacce al mondo politico e a Roma Ladrona, nonostante il suo ruolo di segretario del Carroccio. Nel 1993 ricordava che “le pallottole costano solo trecento lire, quindi stiano attenti quelli là”. Vari riferimenti negli anni, poi nel 2007 parole chiare da Passo San Marco (Bergamo): “I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili, ma per farlo c’è sempre una prima volta”.

Le polemiche non si erano ancora placate che il Senatùr rincarò la dose (aprile 2008): “La sinistra stia attenta, che i nostri fucili sono sempre caldi”, aggiungendo che di uomini non v’era scarsità: “Abbiamo trecentomila uomini, trecentomila martiri pronti a battersi”. Salvo poi puntualizzare di esser molti di più, perché sarebbero “scesi anche dalle montagne” in caso di lotta armata. La “Lega di Governo” abbassò un po’ i toni, ma già durante l’esperienza del governo Monti tornò a minacciare: “Monti deve stare attento, i fucili li facciamo al Nord…”. Dulcis in fundo, Umberto è tornato redivivo sul tema in campagna elettorale, a dicembre 2013. “Certo che mi ricandido a parlamentare”, disse ai giornalisti, “a meno che la Lega non decida di passare a mezzi più rumorosi, tipo i fucili, e riprendersi con la forza il Nord”.

Maroni il pacifico terrorista. L’attuale segretario Bobo Maroni non ha la fedina pulita sul tema. Nel 1998 fu condannato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: come ex capo delle Camicie Verdi fu imputato per creazione di struttura paramilitare fuorilegge, attentato alla Costituzione e all’integrità dello Stato. Un terrorista che organizzava un gruppo armato, insomma. Se non ha mai ricevuto condanna, è perché a due riprese i governi di centrodestra hanno depenalizzato o abrogato i suoi reati. Suona un bel po’ strano, oggi, sentirlo dire che “l’attentato di Preiti è un atto ingiustificabile”, quando lui stesso considerava “giustificabile” (in nome del Nord) creare un gruppo paramilitare volto a spaccare lo Stato italiano.

Grillo e le coordinate galeotte. Il 2 febbraio 2013, in Piazza Grande a Bologna, Grillo era in pieno Tsunami Tour. Fece un ragionamento serio sul Mali, con qualche battuta sopra le righe. Contestando l’impegno italiano al fianco della Francia (deciso dal dimissionario governo Monti, ndr), l’ex comico disse: “Se Al Qaeda fa una rappresaglia, con chi ce la dobbiamo prendere? Amici musulmani che ci seguite, io non sto con i francesi, non l’ho deciso io”. Alla – condivisibile – valutazione politica seguì uno degli exploit a là Grillo: “Se proprio dovete bombardare qualcosa, ve le do io le coordinate di una ridente cittadina, un pò più a sud di Bologna: Roma”, e diede le coordinate Gps della Camera. “Mi raccomando”, aggiunse,”fatelo prima del 25 febbraio sennò ci finiamo dentro pure noi”. Si tratta evidentemente di ironia, però effettivamente pesante. Bene che Grillo sia stato il primo a disconoscere l’attentato di Preiti, però – come dice Piero Grasso – abbassare i toni non guasterebbe.

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