"Inoccupabili", quanto c'è di vero dietro le infelici parole di Giovannini
“Inoccupabili”. Parola infelice ma che fa comprendere realmente la situazione culturale italiana. Dai recenti studi Ocse su 24 paesi, il nostro si classifica ultimo in un’analisi che riguarda le capacità dei cittadini di comprendere un testo scritto, dati e grafici, e risolvere problemi in un contesto tecnologico. Non basta più, infatti, saper leggere e scrivere: l’analfabetismo del terzo millennio riguarda la capacità di sapersi muovere in un contesto liquido e internazionale come quello attuale.
Un italiano su tre ha difficoltà di comprensione. Così risulta che il 28% degli italiani (tra i 15 e i 65 anni) è incapace di comprendere un testo appena letto. Una percentuale elevatissima soprattutto se confrontata con la media Ocse che si attesta al 15%. La percentuale sale al 32% di coloro che sono incapaci di comprendere il senso di grafici e dati. A questo si aggiunge la totale incapacità ad utilizzare gli strumenti tecnologici a disposizione anche e soprattutto per ricavare informazioni.
Gli altri ci schiacciano. Quello che più preoccupa è soprattutto la sproporzione – in termini percentuali – rispetto agli altri paesi sviluppati. una sproporzione che rende gli italiani – intesi come capitale umano – non concorrenziali sul mercato globale. Questo non significa ovviamente che tutto questo possa penalizzare (almeno nel medio periodo) le nostre eccellenze, ma è un segnale di una crisi generale del Paese che va ben oltre la crisi economica.
La colpa è di tutti. Questa situazione è frutto dell’incapacità dell’Italia di rinnovarsi e di stare al passo con il mondo che cambia. Il nostro Paese non è riuscito a trarre vantaggio – nonostante abbia le capacità – dalla globalizzazione. L’ha solo subita, ritrovandosi stretto tra un inevitabile processo di de-industrializzazione, l’assenza di investimenti nella ricerca e una visione miope dello sfruttamento di una delle nostre più importanti risorse: il turismo. Così, oggi, gli italiani non sono solo coloro che hanno serie difficoltà con la lingua inglese. Ma sono anche coloro che hanno meno capacità di operare in un contesto globale e tecnologico. La colpa è anche della politica, ma non solo. Hanno colpa tutte quelle forze conservatrici che hanno sempre detto no al cambiamento, a partire dal sistema scolastico. Al merito si è preferita l’uguaglianza che poi è stata declinata nella sua versione più deleteria: l’egualitarismo. Così le eccellenze non sono mai state premiate e gli studenti sono sempre stati valutati con sistemi vecchi ed incapaci di dare un giudizio sul vero potenziale umano.
E ora? Ora ci ritroviamo con 2,5 milioni di neet, cioè di coloro che non studiano (o si formano) né lavorano e molte donne inoccupate. Uno spreco di risorse umane che però sembra difficilmente recuperabile. Già Monti aveva definito quella dei 30-40enni come una “generazione perduta”. Ora non resta che salvare il salvabile e riformare radicalmente il sistema scolastico e universitario. Non si può più rimandare. Perché se oggi abbiamo perso una generazione, domani potremmo perdere il Paese, definitivamente.
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