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Diritto di critica | March 28, 2024

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Junker: campione del rigore in Europa, furbo a casa

Il neo presidente della Commissione europea bacchetta l'Italia. Ma quando era premier avrebbe trasformato il Lussemburgo in un paradiso fiscale

Junker: campione del rigore in Europa, furbo a casa

di | 07 Nov 2014Aggiungi questo articolo al tuo Magazine su Flipboard

Jean-Claude Juncker aveva ragione nel polemizzare con Matteo Renzi. È vero, non è un burocrate, ma il presidente di uno Stato che stringeva accordi sottobanco con le principali imprese dei Paesi europei affinché portassero i loro soldi in Lussemburgo.

Vantaggi fiscali per le aziende. Le 28 mila pagine di documenti riservati – di cui è entrato in possesso l’International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), il consorzio internazionale di giornalisti d’inchiesta (185 giornalisti in oltre 65 Paesi) e pubblicate dai giornali europei, per l’Italia L’Espresso – dimostrerebbero come il Granducato del Lussemburgo abbia concesso negli ultimi 10 anni vantaggiosissimi accordi fiscali a più di 500 grandi aziende e multinazionali del calibro di Amazon, Ikea, Deutsche Bank Procter&Gamble, Pepsi e Gazprom, tanto per citarne alcune. Nel gruppo figurano una trentina di italiane (Intesa, Unicredit, Finmeccanica ed altre importantissime). In cambio il Lussemburgo riceveva sui suoi conti un vero e proprio fiume di quattrini. Si parla di 300 miliardi di euro. Tutte risorse tolte, sia pur legalmente, al fisco dei Paesi di provenienza.

Aiuti di Stato. Sul banco degli “imputati”, per uno scandalo che con i venti di crisi che soffiano incessanti si annuncia una vera bomba, c’è il neo-presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla guida del Lussemburgo dal 1995 al 2013. Si tratterebbe di 550 accordi fiscali raggiunti per la maggior parte dalla PriceWaterhouseCoopers (Pwc), una delle più grandi aziende della consulenza fiscale, tra il 2002 e il 2010 e, sembra, assolutamente legali, per quanto politicamente a dir poco inopportuni. Neanche un mese fa la stessa Commissione aveva aperto un’indagine contro il Lussemburgo per illegittimi aiuti di stato a favore di Fiat e di Amazon. In quanto agevolazioni, potrebbero rientrare tra gli aiuti di Stato non ammessi dall’Ue. In merito, proprio Juncker aveva detto: “non bloccherò” l’inchiesta, “sarebbe inaccettabile…ho alcune idee che terrò per me”.

Due pesi, due misure. Juncker è ritenuto l’uomo che ha reso il Lussemburgo un polo finanziario di enorme attrazione e se è del tutto legittimo che un’azienda sposti la sua sede finanziaria all’estero, il boom lussemburghese potrebbe nascondere qualcosa di molto simile a una sorta di paradiso fiscale. Ma anche lasciando da parte i risvolti legali e finanziari da chiarire, una domanda si impone: che fiducia dovremmo nutrire per un presidente della Commissione Europea che adesso scudiscia ed ammonisce con severità gli Stati più in difficoltà sul fronte dei conti e delle riforme da attuare, mentre fino a ieri convinceva – allettandole con accordi sottobanco – le aziende di quegli stessi Paesi a non pagare le tasse in casa propria? Un atteggiamento a dir poco ambivalente per chi riveste un ruolo tanto importante. Per un garante dell’equità e del rispetto delle normative, un uomo che ha fatto capire subito di non volersi far passare la mosca al naso, un atteggiamento così sfacciatamente di parte, sia pure nell’interesse del Paese che ha guidato per 18 anni, è ammissibile?

Se non è un burocrate… Il punto restano le promesse con cui Juncker ha convinto le aziende italiane ed europee ad eludere il fisco e ad accasarsi nel ben più comodo Lussemburgo. C’è qualcosa0 che ancora non torna nella figura di un uomo di Stato che da molto prima di divenire il numero uno della Commissione è stato molto presente sulla scena europea. Una presenza garantita unicamente dall’importanza tutta finanziaria del piccolo Granducato. Per Juncker adesso il problema sarà proprio convincere tutti di essere davvero – come lui stesso ha affermato in polemica con Renzi – un uomo delle istituzioni e non solo delle banche e multinazionali. A patto che le stesse istituzioni europee non si identifichino principalmente con banche e multinazionali, i cosiddetti poteri forti.

In Europa ci si dimette per molto meno. Un’evenienza su cui sorge ancora una volta più di qualche dubbio. Messa così la questione, sotto i riflettori vediamo Juncker giocare la parte del classico alto papavero europeo fedele difensore del rigore intransigente, mentre nell’ombra lo immaginiamo tessere strategie che vanno a discapito degli Stati e dello stesso rigorismo tanto sbandierato. Può restare alla guida della Commissione un uomo capace di giocare con tale disinvoltura due ruoli diametralmente opposti? Una cosa è certa: visto che in Europa ci si dimette per molto meno, se Juncker resterà al suo posto a quel punto sapremo anche da chi e perché è stato eletto.

Matteo Renzi, intanto, sentitamente ringrazia.

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