Image Image Image Image Image Image Image Image Image Image

Diritto di critica | April 26, 2024

Scroll to top

Top

Cina contro Giappone: tensione in Asia per le isole Senkaku - Diritto di critica

Riesplode la secolare disputa tra Cina e Giappone sulle Isole Senkaku (Daiyutai in cinese). La tensione è nuovamente salita in seguito all’arresto e al successivo rilascio, dopo 16 giorni di carcere, del capitano del peschereccio cinese Zhan Qixiong, accusato di doppia collisione contro due motovedette giapponesi al largo dell’arcipelago conteso dalla Repubblica Popolare Cinese, dalla Repubblica di Cina (Taiwan) e dal Giappone.

Il contenzioso territoriale ha per oggetto la sovranità sul minuscolo ed inabitato arcipelago delle Senkaku. Si tratta di un gruppo di otto piccoli pezzi di terra ricoperti da vulcani spenti che si innalzano nel Mar della Cina a nord-est di Taiwan e a ovest dell’arcipelago nipponico di Okinawa, sotto amministrazione giapponese e che i giapponesi considerano parte integrante del proprio territorio nazionale.

Le basi giuridiche delle rivendicazioni. Le rivendicazioni cinesi si basano su numerose argomentazioni di carattere storico che non trovano alcun fondamento giuridico e che, soprattutto, sono anteriori all’occupazione fisica delle Isole Senkaku da parte dei giapponesi. Si tratta esclusivamente di “pretese di sovranità” da parte della Cina. Le Isole erano dunque da considerarsi, conformante al Diritto Internazionale, come terra nullius o territoire sans maître. Una conclusione a cui era giunta anche la Prefettura di Okinawa nel 1885 ed in seguito alla quale il governo nipponico aveva provveduto ad innalzare una stele sulle Isole, al fine di formalizzarne l’annessione al territorio, divenendo parte delle Isole Nansei Shoto. In alcun modo sono state annesse ai territori di Taiwan o delle Isole Pescadores, ceduti al Giappone dalla dinastia cinese Qing, in base all’articolo II del Trattato di Shimonoseki, entrato in vigore nel maggio 1895. Di conseguenza, le Isole Senkaku non erano incluse nei territori a cui il Giappone aveva rinunciato ai sensi dell’articolo II del Trattato di Pace di San Francisco. Come stabilito dall’articolo III dello stesso Trattato, le Isole Senkaku erano passate sotto l’amministrazione degli Stati Uniti d’America, in quanto parte delle Isole Nansei Shoto, e successivamente restituite alla giurisdizione giapponese in base all’Accordo tra il governo nipponico e l’amministrazione statunitense, firmato il 17 giugno 1971, relativamente alle isole Ryukyu e alle isole Daiyutai.

Il fatto che, in occasione del passaggio delle Isole sotto l’amministrazione degli Stati Uniti, non sia stata sollevata alcuna obiezione da parte della Cina, indica chiaramente che quest’ultima non riteneva che le queste isole facessero parte di Taiwan.

Solo nella seconda metà degli anni settanta, quando è emersa la questione dello sviluppo delle risorse petrolifere sulla piattaforma continentale del Mar Cinese Orientale, il governo cinese e le autorità di Taiwan hanno iniziato ad avanzare le proprie rivendicazioni sulle Isole Senkaku. Un arcipelago questo, non solo ricco di pesce e di idrocarburi ma anche di grande importanza per i cinesi in quanto permetterebbe l’accesso più facile e veloce all’alto mare.

La posizione degli Stati Uniti d’America. Gli Americani hanno adottato una posizione di neutralità sulla questione. All’epoca, come oggi, la priorità per gli Stati-Uniti è l’alleanza con il Giappone e di fatto l’arcipelago conteso rientra all’interno del perimetro del trattato di sicurezza nippo-americano. Un eventuale attacco cinese a queste isole costringerebbe gli americani ad intervenire.

La disputa secondo il Diritto del Mare. Sulla base del Diritto Internazionale, i diritti allo sfruttamento economico, per ogni nazione, si estendono fino a 200 miglia nautiche dalla costa. Il Giappone, quindi, avrebbe tutto il diritto di sfruttare le ricchezze presenti entro 200 miglia dalla costa delle isole Senkaku. Molti, però, ribattono che le Senkaku non sarebbero da considerarsi delle isole e quindi, nel loro caso, non si potrebbe applicare questa norma internazionale. Il Diritto del Mare infatti, definisce isole quelle terre che hanno una loro economia e che sono in grado di ospitare insediamenti umani: le Senkaku, invece, sono solo dei vulcani inattivi, inabitati per giunta.

Contenzioso economico e marittimo. Con ogni probabilità la questione relativa al capitano del peschereccio cinese Zhan Qixiong sia solo un pretesto che la Cina sta utilizzando per cercare di riattivare la sua rivendicazione sulle isole Senkaku e più in generale per affermare la sua potenza anche in mare. Tutto questo accade in un momento in cui la Cina desidera dotarsi di una marina moderna, oceanica, con capacità di difesa senza precedenti. Significativa, in questo senso, la decisione di avviare la costruzione della prima porta-aerei cinese. L’obiettivo cinese è quello di dotarsi della più potente flotta asiatica (primato detenuto dal Giappone) e in questo progetto rientra la decisione della Cina di partecipare alle operazioni anti-pirateria nel Golfo di Aden. Di conseguenza, i giapponesi sono, senza dubbio, i principali rivali marittimi del gigante asiatico.

Dietro le questioni giuridiche. La cattura del peschereccio cinese ha provocato la peggiore querelle diplomatica cino-giapponese dal 2006, nonostante i tentativi del governo nipponico di gestire la questione in modo da evitare l’inasprimento della situazione. Se è vero che la questione delle Daiyutai/Senkaku è nata dalla possibile esistenza di potenziali giacimenti petroliferi nelle acque che circondano le Isole, è altrettanto vero che la disputa ha anche profondi significati politici, tanto che la controversia si è trasformata in una disputa nazionalistica. Per i cinesi in particolare, la vicenda sta assumendo una dimensione nazionalistica, rispolverando fantasmi del passato: le aggressioni militari giapponesi. Entrambe le parti restano ferme sulle rispettive posizioni e le relazioni tra esse sono tese nonostante si affermi di fare tutto il possibile per calmare gli animi: nessuno dei governi può permettersi un conflitto, ma nessuno può permettersi di perdere la faccia.