La scuola si fonda sui precari. Il caso del Lazio
La scuola nel Lazio si fonda sui precari. A dirlo è il confronto tra le immissioni in ruolo e il bacino degli iscritti nelle graduatorie permanenti. Secondo i dati di Flc Cgil e Cisl Scuola Lazio, elaborati sui numeri nazionali del Ministero dell’Istruzione dell’università e della ricerca (Miur), infatti, i docenti che quest’anno hanno avuto una cattedra sono stati 1.124, a fronte di 22mila precari. Supplenze, docenze sottopagate nelle scuole private per lo scatto in graduatoria, professori con contratti annuali che adesso si ritrovano ad insegnare con il contagocce. Su Roma e Provincia, in particolare, per l’anno scolastico in corso le immissioni in ruolo hanno riguardato 911 docenti, di cui 452 per il sostegno, mentre restano “vacanti” 905 posti.
Un bilancio a cui va aggiunto il dato dei tagli. Secondo i dati della Cisl Scuola Lazio, inoltre, con la riforma voluta dal ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, sono stati 1.838 gli insegnanti “cancellati”, quest’anno in Regione, che si vanno ad aggiungere ai 3.211 dello scorso anno scolastico. Nella sola scuola primaria, sottolinea Flc-Cgil, perderanno il posto 590 docenti.
«Solo a Roma – spiega Anna Fedeli, segretaria regionale Flc Cgil – circa tremila bambini della prima classe rimarranno senza il tempo pieno richiesto dalle famiglie. C’è una volontà politica – prosegue – di impoverire la scuola pubblica della capacità di garantire pari opportunità educative a tutti i cittadini che va al di là dei tagli ed investe il modello sociale di riferimento». L’anno scorso, aggiunge Vincenzo Alessandro, Segretario regionale della Cisl Scuola Lazio, «nella nostra regione ci sono state 11.185 supplenze annuali del personale docente». «Il tasso di precariato – prosegue Alessandro – è troppo alto e va a detrimento della continuità didattica: i docenti insegnano per un anno in una scuola e l’anno successivo in un’altra».
E tra i precari “declassati” da un contratto annuale alla giungla delle supplenze, c’è Giorgio Crescenza, trent’anni, una laurea in Lettere, un dottorato in Pedagogia e un Master in Counselling nell’ambito psicopedagogico. «Insegno dal 2001 – spiega – il primo incarico l’ho avuto nel 2005 all’Istituto Tecnico Statale “Vincenzo Arangio Ruiz”, dove sono rimasto per due anni, mentre fino all’anno scorso avevo un contratto annuale a Civitavecchia. Adesso – prosegue – sono tornato a fare supplenze temporanee e insegno Lettere alla scuola dell’Ospedale Ematologico del Policlinico Umberto I che dipende dall’Istituto don Giuseppe Morosini, dove il ministro Gelmini ha inaugurato l’anno scolastico il 13 settembre scorso. Con questo sistema – conclude – pur di non perdere il punteggio in graduatoria, molti colleghi non assunti nella scuola pubblica sono costretti ad accettare contratti iniqui nelle scuole parificate».
C’è poi il discorso dei docenti cosiddetti “soprannumerari”. La riforma, infatti, ha ridotto le ore di lezione e ha previsto che una stessa materia possa essere insegnata da più classi di concorso. «I dati sull’esatta entità del sovrannumero – spiega Vincenzo Alessandro – non sono ancora completamente disponibili. Di sicuro possiamo dire che ci sono precari che non insegneranno più: su una materia come marketing, ad esempio, sono confluiti gli insegnamenti di Grafica e di Economia aziendale ed è ovvio che le scuole impegneranno i secondi a scapito dei primi».
Gaetano Trovalusci, 55 anni, in cattedra dal 1985 e da dieci anni professore di Fisica al liceo statale Montessori, è finito nella roulette degli insegnanti in sovrannumero: «Ho scritto al ministero senza ricevere risposta per capire perché con 157 punti di anzianità sono dovuto andare via mentre colleghi della stessa classe di concorso e con solo 40 punti di servizio sono rimasti al loro posto. Per fortuna – prosegue – insegno ancora a Roma ma potevo essere trasferito in provincia, magari a Subiaco. Adesso – conclude – lavoro presso l’Istituto di Istruzione superiore che prima era il liceo Gian Carlo Vallauri, successivamente fuso con il Giovanni Da Verrazzano e che è ancora in attesa di trovare un nome che lo identifichi».
(Pubblicato dall’autore sul Sole 24 Ore “Roma” il 13.10.2009, pagina 27)
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