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Diritto di critica | July 22, 2024

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Wikileaks, il nuovo "cane da guardia" del potere. Grazie al web - Diritto di critica

Wikileaks, il nuovo “cane da guardia” del potere. Grazie al web

C’è un terremoto senza precedenti che scuote le sedie dei potenti. Si chiama Wikileaks, il sito dell’australiano Julian Assange. Un terremoto che intacca egemonie consolidate e equilibri precostituiti, nell’informazione come nella politica.

È così che l’eterna favola del web si avvia ad un lieto fine tanto atteso quanto imprevedibile. Nata come archivio, cresciuta come innovazione e diventata rivoluzione, la rete si gode finalmente l’ascesa tra i media che contano. Boicottata, snobbata, additata come mare magnum di informazioni talvolta poco attendibili, è rimasta all’ombra dei canali ufficiali; spazio dove tutto confluisce, ma da cui niente trae origine. Blog, portali, pagine e pagine di notizie, commenti, materiale multimediale raccolto anche laddove chi fa informazione ordinaria non è più abituato ad arrivare, per raccontare quello che tv e giornali hanno smesso di riportare da tempo, dando vita ad un vero e proprio canale alternativo.

E proprio uno di questi angoli di divulgazione si è rivelato in grado di sfidare i poteri forti, arrivando a pubblicare l’impubblicabile. Wikileaks ha raccontato la storia in tempo reale, ha ridefinito la gerarchia dei mezzi di trasmissione delle notizie e alla fine, comunque vada, ha vinto, dimostrando che il cambiamento si fa nella rete, con la rete.

La diffusione di documenti provenienti dall’intelligence americana ha monopolizzato l’attenzione di milioni di persone in tutto il mondo, accendendo i riflettori su uno dei tanti spazi inesplorati del web. L’operazione è stata efficace: prima l’annuncio e poi la pubblicazione, così da generare attesa e consolidare la consapevolezza di un cambiamento senza precedenti. Attoniti e impotenti, televisione e giornali si sono ritagliati un ruolo di spettatori-commentatori, incapaci di gestire, forse per la prima volta, il processo di produzione delle notizie. Le testate di tutto il mondo hanno raccontato l’accaduto e l’hanno fatto partendo dal web. Le edizioni on-line si sono infatti rivelate gli unici canali in grado di mantenersi “sul pezzo”, garantendo tempestività e copertura immediata a quanto stava avvenendo.

Dalla vicenda Wikileaks, la democraticità della rete emerge nella sua manifestazione più chiara: nessun filtro, nessuna manipolazione da postumo manuale di storia. Solo l’informazione che con la forza della sua portata diventa notizia. Si definiscono così le zone d’ombra del potere, quelle zone che nessun cittadino dovrebbe mai essere messo nella condizione di conoscere. Esse diventano oggetto di analisi, confronto, commento e diffusione. Sollevano questioni, pongono interrogativi, spogliano la credibilità del leader. I documenti sono lì, alla portata di tutti e, nonostante i tentativi di censura, l’operazione di condivisione non si ferma.

Al cancello c’è ancora lui, il giornalista, l’operatore dell’informazione da anni in crisi d’identità, costretto a fare i conti con la ridefinizione dei confini professionali. Il giornalista che vede nel web l’alleato pericoloso. Eppure anche oggi, nonostante il cambiamento, lui è lì che seleziona, che pubblica, che racconta. Non è un caso i curatori di Wikileaks siano giornalisti a tutti gli effetti. Le informazioni vengono scelte e trasmesse. Il passo successivo sta nel renderle comprensibili, legandole a vicende e meccanismi non sempre noti all’internauta della porta accanto. In fondo l’opera di mediazione non si è mai conclusa.