Parte da Bari la prima class action a favore dei migranti - Diritto di critica
Scritto per noi da Gianluca Galotta
Una class action per tutelare i migranti che vivono nel Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Bari. L’iniziativa è stata promossa dall’associazione barese “Class Action Procedimentale” e prende le mosse da due elementi: da un lato le difficili condizioni in cui vivono gli “ospiti” del Cie di Bari, una delle 13 strutture dislocate sul territorio italiano, dall’altro la disattenzione verso questo tema da parte delle istituzioni nazionali e locali, nonostante le numerose denunce arrivate da più parti.
«A maggio dello scorso anno abbiamo diffidato il Ministero dell’Interno e invitato il Comune e la Provincia ad assicurare nel CIE di Bari gli standard minimi di vivibilità per i detenuti, stabiliti dalla normativa interna e comunitaria e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo» chiarisce Luigi Paccione avvocato e presidente dell’Associazione. Il legale precisa che di detenuti si tratta visto che i «Cie sono vere e proprie strutture carcerarie in cui, quelli che noi chiamiamo gli “invisibili”, sono costretti a vivere sotto il controllo di corpi armati dello Stato». Per questo, secondo il legale, la struttura situata nel quartiere San Paolo di Bari (196 posti), è «una crepa nello Stato di diritto» e ad oggi non si è avuta nessuna attenzione né da parte del Ministero né degli Enti Locali.
Eppure secondo il presidente dell’Associazione proprio «gli enti locali hanno un ruolo fondamentale non solo nell’erogare i servizi essenziali alla comunità ma anche nel vigilare sul rispetto dei diritti umani nel territorio di loro competenza». Per spronare le istituzioni e per sanare queste violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo che recano «una macchia sull’intera comunità barese», Paccione e il vicepresidente dell’Associazione Alessio Carlucci, anche egli avvocato, hanno dato vita ad un ricorso presentato al presidente del Tribunale Ordinario del capoluogo pugliese. In esso si chiede la nomina di un consulente tecnico che acceda al CIE di Bari per accertare il rispetto delle normative nazionali e comunitarie sulle condizioni minime da garantire ai detenuti e per porre rimedi alle eventuali violazioni riscontrate.
Paccione è comunque certo che tali condizioni minime non siano garantite. Non a caso, per avallare questa tesi, i due avvocati hanno inserito nel testo del ricorso (consultabile sul sito www.classactionprocedimentale.it) una serie indirizzi internet in cui è possibile reperire video e documenti che mostrano la difficile situazione dei detenuti nel CIE di Bari. E all’indomani del giorno della memoria non manca un riferimento all’esperienza dei campi di concentramento: «La Shoah – ha concluso Paccione – in fondo era un internamento tra l’indifferenza di molti. Bene, con le dovute differenze, noi non vogliamo restare indifferenti».
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chissà magari gli standard minimi di vivibilità hanno un costo vivo….potrebbe essere misero il rimborso o troppo esagerata la distrazione del medesimo….
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