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Diritto di critica | April 25, 2024

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Lampedusa: l'emergenza nelle parole degli operatori umanitari - Diritto di critica

Lampedusa: l’emergenza nelle parole degli operatori umanitari

Ma quale allarme terrorismo? Sono ragazzi che arrivano qui con un unico desiderio: lavorare”. E per la prima volta “sono assolutamente liberi di circolare: la sera dormono presso il centro, di giorno vanno a comprarsi le sigarette, a prendersi il caffè e all’internet point”. Paola La Rosa, dell’associazione Askavusa, racconta a Diritto di critica l’ultima ondata migratoria che ha “invaso” Lampedusa: giovani, under 30, che fuggono dalla loro terra perché sono rimasti senza lavoro. “La maggior parte proviene dal sud della Tunisia, da Jerba, Zarzis e da altre piccole città turistiche. Lavoravano negli alberghi, che sono falliti a causa della rivoluzione”. “Molti di loro – prosegue – sono riusciti a partire in questi giorni, perché la rivoluzione ha allentato i controlli sulla costa ma avevano maturato questo progetto già in precedenza”.  “Arrivano con barche, per la maggior parte in buone condizioni, dopo una traversata che dura da 24 a 38 ore – spiega La Rosa -. Alcuni parlano italiano, quasi tutti francese. Chiaccherano con i loro coetanei e con gli anziani pescatori che provano a cimentarsi con un po’di arabo. Hanno storie diverse, dal ragazzo che sta andando a Torino a trovare la fidanzata a chi vuole raggiungere i parenti in altri paesi europei”.

Tra loro, c’è anche chi chiede asilo: “I flussi sono misti- spiega a Diritto di Critica Valeria Carlini del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) alcuni chiedono asilo, altri sono diretti altrove. Circa 650 sono stati trasferiti al Cara di Crotone: finora su 80 che hanno terminato la procedura, 48 hanno richiesto protezione. Le domande saranno esaminate caso per caso, in modo da verificare quanti sono effettivamente rifugiati: abbiamo il timore, che si siano infiltrate anche persone colluse con il regime di Ben Ali e che, per tanto, non possono ricevere la protezione”. Un centinaio di migranti, invece, sono stati smistati nei centri di Foggia e Gradisca: “Ci sono ancora posti disponibili – spiega a Diritto di Critica Mauro Maurino, del consorzio Connecting people – soprattutto in Puglia e in Sicilia. Oltre alle strutture governative, ce ne sono altre dismesse, attivate per gli sbarchi di qualche anno fa, poi chiuse per mancanza di richiesta, fermo restando che i trasferimenti non sono semplici perché le condizioni fisiche di chi arriva spesso non consentono un ulteriore viaggio. Questa ondata migratoria ci ha colti impreparati e chi gestisce l’emergenza ha bisogno di tempi fisiologici, senza dover andare incontro a polemiche. Il problema vero, adesso, non è di chi sia stata la responsabilità, ma come agire al meglio”.

Nessun allarme sicurezza, dunque, ma “è urgente garantire il trasferimento dei migranti”, sottolinea La Rosa: “per ora – prosegue – sono tranquilli perché sanno che si trovano qui solo temporaneamente. Sanno che finché sono qui non possono chiedere asilo, né conoscere i loro diritti. Secondo la legge, la permanenza a Lampedusa non potrebbe superare le 48 ore, limite che non viene rispettato. La sensazione di essere prigionieri potrebbe acuire la loro paura, come succederebbe a tutti, a prescindere dal fatto che siano tunisini”.

Mentre Valeria Carlini torna sulla polemica relativa alla prassi dei respingimenti, attuata dopo il patto con la Libia: “E’ evidente – spiega – che l’ondata migratoria non può essere fermata con i respingimenti, ma deve essere gestita razionalmente, attraverso politiche strutturali che riescano a evitare il crearsi di emergenze. Da una parte, l’Italia deve garantire l’accesso ai rifugiati, dall’altra dovrebbe elaborare una politica migratoria più illuminata, che preveda, per esempio, un ripensamento dei visti di ingresso per lavoro”. Con questo obiettivo, “stiamo sperimentando misure di entrata protetta per rifugiati e richiedenti asilo, che si potrebbero concretizzare in specifici visti di ingresso, o nella richiesta diretta di protezione internazionale presso ambasciate/consolati italiani o di altri paesi europei o, come abbiamo richiesto nel caso del Sinai, tramite evacuazione umanitaria”.

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