Giovani in Italia, tra crisi e "inattività volontaria" - Diritto di critica
Sempre meno, sempre più scoraggiati e pure sempre più impigriti: il dato sulla gioventù italiana che emerge dall’ultimo studio del Censis non è certo incoraggiante. Se da un lato infatti i giovani in Italia sarebbero “in via d’estinzione” – in calo del 12,7% negli ultimi 10 anni e dimezzati negli ultimi 20 – dall’altro quelli che restano vivrebbero una situazione di stallo generalizzata: la sfiducia nel futuro generata dalla crisi andrebbe così a sommarsi ad una percentuale di giovani caratterizzati da “inattività volontaria” prima in Europa. Una realtà che, a ben guardare, tanto nuova non è: ma snocciolare i dati serve probabilmente a dare le misure reali di un fenomeno – quello delle problematiche del mondo dei giovani – che finora, forse, è rimasto relegato ai salotti televisivi e politici e alle campagne elettorali.
Secondo il Censis, il dato italiano di “nullafacenza giovanile”, ovvero di quei giovani “non interessati a lavorare o a studiare” si aggirerebbe attorno all’11%: all’incirca tre volte tanto quello di altri paesi europei quali la Germania (3,6%), la Francia (3,5%) o l’Inghilterra (1,7%), e ben superiore alla media europea del 3,4%. Alla base della rinuncia alla ricerca di un lavoro da parte di una così alta percentuale di giovani in Italia ci sarebbe principalmente – ma non solo – la tristemente famosa crisi, che diffonde soprattutto tra le nuove generazioni un senso di sfiducia ed impotenza, per cui «molti giovani – scrive il Censis nel rapporto – guardano all’inattività come a un’alternativa possibile di vita».
Sebbene tra le cause principali, la crisi da sola non basterebbe a spiegare l’apatia generalizzata che pare caratterizzare i giovani italiani, dal momento che in un Paese simile all’Italia per situazione sociale ed economica – la Spagna, dove la disoccupazione giovanile nel 2010 era arrivata al 41,6% – il tasso di Neet (dall’acronimo inglese “Not in education, employment or training”), cioè di persone che hanno smesso di cercare lavoro e non studiano, è dello 0,5%, contro l’11,2 % in Italia (dove la disoccupazione è invece del 27,8%). Alle difficoltà economiche attuali andrebbero dunque a sommarsi anche «la funzione di ammortizzatore sociale che le famiglie si sono ormai abituate a svolgere», come ha spiegato il direttore generale del Censis, Giuseppe Roma, all’audizione presso la Commissione Lavoro della Camera, e le scarse probabilità di successo professionale legate all’istruzione superiore o universitaria nel nostro Paese.
L’Italia infatti ha evidenziato negli ultimi anni anche una flessione nel numero di laureati – solo il 20,7% di ragazzi tra i 25 e i 34 anni ha completato gli studi, contro una media europea del 33% – motivata dalla difficoltà per i giovani in possesso di una laurea di accedere al mondo del lavoro nel nostro Paese e dalla tendenza tutta italiana di impiegare i laureati in lavori sottoqualificati o incoerenti con il titolo di studio in possesso. Questo fenomeno, secondo il presidente del centro di ricerca, Gian Maria Fara, «è in continua crescita e provoca mobilità sociale discendente e immobilità sociale», abbassando progressivamente il numero dei laureati e rendendo sempre più difficoltoso il loro inserimento in una società “vecchia” e con poco ricambio generazionale anche sul mondo del lavoro.