India: vacilla l’apparente tregua con i ribelli del Kashmir - Diritto di critica
Lo scorso anno, sulla scia delle proteste in Kashmir a causa della continua violazione dei diritti umani, ad Omar Abdullah (primo ministro dello stato indiano di Jammu e Kashmir) fu chiesto di abrogare una delle più controverse leggi che garantisce alle truppe indiane un’ampia protezione dai procedimenti giudiziari per violazione dei diritti umani. Il famigerato Armed Forces (Special Powers) Act, approvato dal Parlamento indiano nel 1958, che conferisce all’esercito speciali poteri di intervento negli stati di Arunachal, Pradesh, Assam, Manipur, Meghalaya, Mizoram, Nagaland, Tripura e Jammu e Kashmir (quest’ultimo nel 1990). La leggendaria attivista Irom Chanu Sharmila, nello stato del Manipur, fu in prima linea nella lotta per l’abolizione di questa legge, arrivando a digiunare per oltre 500 settimane.
Nell’agosto del 2010 furono uccisi oltre 100 attivisti. Una brutale repressione dell’esercito e la legge sta a simboleggiare proprio il risentimento della popolazione contro la presenza delle truppe indiane nella valle del Kashmir. Il premier Abdullah promise di cancellare la normativa nel giro di “pochi giorni”, ma a distanza di più di un anno la questione non è stata ancora affrontata del tutto. Il 21 ottobre scorso, dopo mesi di calma nella valle, il primo ministro ha annunciato di voler sospendere la legge in alcuni stati dell’India. La totale abolizione si scontra, però, con le decisioni del Parlamento, che avrà bisogno del tempo (e la volontà) necessario per deliberare. Un ulteriore slittamento avrà l’effetto di seppellire o rimandare ancora una volta la proposta.
Il 2011 è stato il primo anno degli ultimi tre senza proteste. Il turismo ha rivitalizzato, con decine di migliaia di visitatori da tutto il mondo, un’economia devastata dagli attacchi costanti dei ribelli lo scorso anno, dalle proteste dei manifestanti e dal coprifuoco imposto dalle autorità. Il governo, invece di preservare la temporanea pace in Kashmir, dando il via ad un sostanziale cambiamento della politica e in modo da colmare il divario dello stato indiano da quello nel resto del paese, ha preferito rifugiarsi nella difesa dello status quo. Il Bharatiya Janata Party, seppur all’opposizione, ha avvertito che l’eventuale abrogazione dell’AFSPA, in nome della tutela dei diritti umani, renderebbe vulnerabili le forze di sicurezza. Nessuno dei principali partiti politici indiani (compreso il Partito del Congresso) è disposto ad accogliere quello che da tutti è indicato come un successo del governo indiano nel Kashmir. Una stabilità politica della zona, con la quasi totale eliminazione di 20 anni di guerriglia dei ribelli e una cooperazione economica fruttuosa con il resto del paese.
Quando a riemergere, sono antichi fantasmi del passato, come il rapporto di un’agenzia per i diritti umani, che parla di un ritrovamento di circa 2mila tombe senza identità lungo il confine India – Pakistan, Nuova Delhi non fa nulla per sottolineare quanto di buono è stato fatto per il processo di pace. Il primo ministro Abdullah potrebbe non essere il leader in grado di portare a termine la tanto agognata tregua con i ribelli del Kashmir. Da quando ha assunto la carica di premier, dal 2009, Abdullah ha lottato strenuamente, per affermare la propria leadership, contro gli stessi alleati in seno al Partito del Congresso. La gestione delle proteste lo scorso anno ha destato più di una perplessità. Dopo la separazione dalla moglie e le voci di dimissioni (smentite dal Congresso) in seguito alla morte di un attivista di partito detenuto dalla polizia, la sua autorità sembra vacillare. E così, anche il processo di pace nel Kashmir potrebbe subire una grave battuta d’arresto.