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Diritto di critica | April 19, 2024

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"Pago tutto io", il traffico miliardario dei soldi privati ai partiti

Il finanziamento privato ai partiti in Italia ha diversi nomi. C’è chi sostiene il progetto politico di un parente stretto (finanziamento “familiare”), chi fa un’ “offerta” o rimpolpa le casse della propria creatura con un prelievo da un’altra sua creatura (“autofinanziamento”), chi dà una mano perché un po’ ci crede e un po’ spera di guadagnarci (finanziamento “ad hoc”) e chi, nell’incertezza, sovvenziona nel tempo o contemporaneamente più partiti, movimenti, correnti, assemblee, varie ed eventuali (finanziamento “spalmato” o “a random”). L’infinita girandola dei contributi privati ai partiti, che in Italia dal 1992 (secondo i dati diffusi dall’associazione Openpolis su Repubblica.it) hanno raggiunto cifre intorno al 1,5 miliardi di euro, rende un po’ più logica a molti occhi la legge recentemente approvata sull’abolizione dei contributi pubblici (altri 2,7 miliardi a partire dal 1994) alle formazioni politiche, ma evidenzia un’altra volta (come se ce ne fosse ancora bisogno) la stretta connessione tra politica ed economia, quell’intreccio di poteri che prelude quasi sempre a uno scambio di favori.

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A fornire denaro negli anni a Pd, Forza Italia, Lega Nord e gli altri aziende, banche, imprese edili, società immobiliari, pubblicitarie e colossi della comunicazione. Ma anche singoli imprenditori e molti politici stessi. In testa alla classifica c’è la berlusconiana Publitalia 80 Spa, che in vent’anni ha elargito 43,7 milioni di euro a Psi, Dc, Pli, Pri, Msi, Lega e Forza Italia (solo nel 2000 quest’ultima ne ha ricevuti 8). È proprio il partito dell’ex Cavaliere ad aver maggiormente beneficiato di sovvenzioni private, per un totale di 291 milioni di euro (seguito da Ds e Margherita). L’elenco prosegue con Gianmarco Moratti, fratello di Massimo e a capo della Saras (petrolio ed energia), che ha donato alla moglie Letizia ben 12,3 milioni, da spendere non in borse e cappotti ma in carriera politica. E ancora, tra gli altri, Beta Immobiliare Srl (11,5 milioni all’allora Pds), Banca Intesa (3,1 milioni ai Ds), Fininvest (3 milioni a Forza Italia), Autostrade Spa (1,1 milioni ad An, Fi, Lega nord, Udc, Udeur, Prodi e Margherita), Mondadori, Caltagirone, Farmindustria, Esselunga, Confederazione generale dell’agricoltura, Manutencoop, Riva, AirOne. Il finanziere americano George Soros, l’autore della spregiudicata vendita di lire che nel 1992 portò alla svalutazione del 30 per cento della nostra moneta, nel 2004 ha versato due milioni di euro nelle casse della lista di Marco Pannella. Il presidente e proprietario del Palermo Calcio, Maurizio Zamparini, ha invece suddiviso 460mila euro tra Msi, An ed Udc. “Finanziamento spalmato” anche per l’immobiliarista romano Sergio Scarpellini (colui che affitta gli appartamenti della Camera dei Deputati, noto alle recenti cronache): la sua Progetto 90 Srl ha dato quasi 500mila euro a Lega, Ds, Pd, Udc e Pdl. Un po’ per uno non fa male a nessuno. La fiducia e il denaro del mondo economico e finanziario si sono riversati, in questi venti anni, anche sui singoli deputati, senatori, eminenti esponenti politici e sulle loro campagne elettorali. Il più “finanziato” è Letizia Moratti, seguita da Vito Bonsignore, Francesco Rutelli e Romano Prodi. “Solo” 30esimo Silvio Berlusconi.

Da notare poi i vari politici che hanno contribuito personalmente a rimpinguare il tesoretto del partito: tra loro Fausto Bertinotti (1,7 milioni al Prc), Nichi Vendola, Emma Bonino, Roberto Maroni, Massimo D’Alema, e l’ex deputato di Fi Paolo Vigevano, che ha versato ben 4,2 milioni di euro alla lista di Marco Pannella.

I dati dell’associazione Openpolis riguardano il periodo 1992-2013. Il primo aumento dei finanziamenti privati ai partiti si è registrato nel 2001. Ma il culmine si è raggiunto nel 2009, con 207 milioni di euro arrivati nelle casse dei gruppi politici. La regolamentazione dei contributi privati è legata soprattutto alla quantità: fino al 2004 era obbligatorio, per i partiti, dichiarare i finanziamenti superiori ai 6.600 euro; poi il ministro dell’Economia di quell’anno, Giulio Tremonti, ha innalzato il tetto a 50mila.