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Diritto di critica | July 24, 2024

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Sakineh, un caso che «conviene a tutti». Intervista a Riccardo Noury (Amensty) - Diritto di critica

Sakineh, un caso che «conviene a tutti». Intervista a Riccardo Noury (Amensty)

 

Di Erica Balduzzi ed Emilio Fabio Torsello

La vicenda di Sakineh Mohammadi Ashtiani sembra ben lontana da una soluzione. L’attenzione mediatica sul suo caso, infatti, va riducendosi in proporzione al silenzio che giorno dopo giorno mette in sordina la sorte quantomai incerta della donna, accusata in Iran di adulterio e di concorso nell’omicidio del marito. In una condizione molto simile, in Pakistan, c’è un’altra donna, Asia Bibi, di fede cristiana, accusata di aver “offeso” il profeta Maometto e condannata a morte in base alla legge sulla blasfemia.

Diritto di Critica ha intervistato in due puntate (la seconda sarà pubblicata domani e riguarderà gli Stati Uniti), il portavoce italiano di Amnesty International, Riccardo Noury, per fare il punto sulle accuse e sul futuro delle due donne. Secondo Noury, in particolare, se da un lato è essenziale salvare la vita di Sakineh, dall’altro sarebbe un gravissimo errore ridurre la questione sul mancato rispetto dei diritti umani in Iran al suo caso. Come Sakineh, infatti, nel Paese di Ahmadinejad «ci sono centinaia di persone in attesa di essere giustiziate». Che si porti avanti la battaglia a favore di un’unica persona, secondo Noury, «conviene a tutti».

Riccardo Noury, a parte la notizia della falsa liberazione, di Sakineh non si sa quasi più nulla. Qual è l’attuale condizione della donna?

Il caso di Sakineh è unico. Sebbene in Iran ci siano centinaia di condannati a morte in attesa di esecuzione (di cui almeno ottanta minorenni), Sakineh si trova di fronte a due potenziali minacce di esecuzione per reati per i quali la pena è stata sospesa oppure è già stata scontata: la pena per l’adulterio, infatti, secondo fonti giudiziarie, è adesso in fase di riesame, mentre per il reato di complicità in omicidio la donna avrebbe già scontato gli anni di carcere previsti (dieci secondo la sentenza di primo grado, ridotti a cinque in appello). La notizia di una ‘fiction’ (ricostruzione del delitto, ndr) che aveva dato il via agli annunci sulla sua liberazione, fa pensare ad un tentativo da parte delle autorità di riaprire il processo.

Sakineh è ancora viva grazie alla campagna mediatica e alle pressioni internazionali oppure si sta solo aspettando che si ‘calmino le acque’ per procedere?

La possibilità di un’esecuzione quando calerà l’attenzione – ad esempio durante le feste natalizie- è stata valutata anche dal suo ex avvocato, Mostafaei. Se Sakineh è ancora viva, però, lo dobbiamo alle pressioni internazionali: se la si uccidesse ora, il prezzo da pagare per l’Iran, in termini di attenzione internazionale, sarebbe troppo alto.  Conviene a tutti che la donna resti viva, anche all’Iran.

La vita di Sakineh “conviene” a qualcuno?

Certo. Conviene all’Iran perché finché Sakineh resterà viva, l’attenzione internazionale sarà puntata su di lei e verranno ignorate le amputazioni, gli avvocati in sciopero della fame, le repressioni verso studenti e giornalisti. Che Sakineh non sia uccisa, però, conviene anche al resto del mondo, perché mostra l’efficacia delle pressioni internazionali e, al tempo stesso, si tratta di un caso rassicurante per l’Occidente: è una vicenda su cui l’Europa può mettersi in gioco senza particolari problemi. Ridurre la complessità della macchina di repressione iraniana al mantra ‘Sakineh, Sakineh’ – di contro – non aiuta le numerose persone che in Iran, anche all’interno delle istituzioni, lottano per i diritti umani.

Come Sakineh, sono in carcere anche il figlio e uno dei suoi avvocati. Di cosa sono accusati?

Sulla loro condizione nel dettaglio non si sa niente. Nessuno dei due ha un’imputazione legata all’omicidio del marito di Sakineh ed entrambi sono in carcere in attesa che venga formulata l’accusa. È dunque plausibile pensare che siano stati arrestati per aver contattato i media stranieri per portare avanti la campagna per la liberazione della donna.

Per molti aspetti analoga a quanto visto per Sakineh, in Pakistan c’è la vicenda di Asia Bibi, condannata a morte in applicazione della legge sulla blasfemia.

La legge sulla blasfemia ha un’applicazione molto vasta e arbitraria: si usa per punire chi passa dall’Islam a un’altra religione ma anche per colpire gli appartenenti a sette scissioniste o chi ‘offende’ la religione del profeta Maometto. Il sistema giudiziario pakistano è molto complesso e soprattutto l’amministrazione – a livello giudiziario – non riesce a raggiungere capillarmente tutto il territorio. Sembrerebbe che il presidente del Pakistan voglia optare per un’assoluzione in silenzio ma la corte ha riesaminato il caso stabilendo che non può essere concessa alcuna grazia prima della conclusione di tutti i gradi di giudizio. Infine, nel caso venisse liberata, sulla testa della donna è stata posta una taglia: il governo dovrebbe quindi non solo liberarla ma anche garantire l’incolumità di Asia Bibi. E non credo sia in grado di farlo.

Comments

  1. Riccardo

    proprio poco tempo fa negli USA è stata giustiziata una donna, con problemi anche mentali – concordo con il suo punto di vista, ma perchè non si è espresso nel caso degli USA – forse perchè non le conviene? oppure siccome di un paese Occidentale le sembra più giusta o le manca il coraggio di esporsi- Cordiali Saluti

  2. Riccardo

    e proprio come per l’atomica di Israele che nessuno ne parla-
    anche in questo caso non conviene – ma in che mondo viviamo e con quali regole-
    regole che per alcuni non valgono?

  3. Erica Balduzzi

    @ Riccardo: se legge con attenzione, abbiamo scritto che nei prossimi giorni verrà pubblicata la seconda parte dell’intervista, relativa proprio alla pena di morte negli USA. Pubblicarla qui sarebbe stato dispersivo int emrini di tempo ed attenzione.
    Inoltre, proprio in occasione dell’esecuzione della donna che lei cita avevamo già trattato l’argomento, quindi non si tratta di un ‘non convenire’: https://www.dirittodicritica.com/2010/10/04/california-pena-morte-anestetico/