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Diritto di critica | April 26, 2024

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Non solo la Libia: lo Yemen verso la guerra civile - Diritto di critica

Non solo la Libia: lo Yemen verso la guerra civile

Scritto per noi da Gianluca Mercuri

Da circa sei settimane la situazione politica nello Yemen si è surriscaldata, sulla scia delle proteste che stanno infiammando il mondo arabo. Lo Yemen si trova tuttavia in uno scenario particolare, in cui le richieste democratiche di una parte della popolazione si scontrano contro molteplici altri interessi: da un lato il regime del Presidente Ali Abdullah Saleh, in carica dal 1978, dall’altro, le divisioni religiose tra sciiti e sunniti. A tutto questo si aggiungono i rigurgiti separatisti del nord nei confronti del sud.

Divisioni religiose e antiche nostalgie. Causa principale della tensione nello Yemen è rappresentato dal secolare scontro tra le due anime dell’Islam: al nord la maggioranza è sciita, mentre nel sud dominano i sunniti, capitale Sana’a compresa. Negli ultimi tempi a questa divisione aspra si è aggiunto un rigurgito delle tesi separatiste, finora osteggiate non solo dai sunniti ma anche dagli Usa e dall’Arabia Saudita, preoccupati da una possibile maggiore penetrazione di Al Qaeda nel Paese, che già ha fatto dello Yemen una delle sue più floride basi. L’incontro dei due interessi ha portato il nord a premere per avere maggiori concessioni e autonomie dal governo centrale yemenita. Per questo non sono mancati gli scontri guidati dalla polizia fedele al regime di Saleh.

Manifestazioni e repressione al Sud. Nel sud del Paese, a maggioranza sunnita, le agitazioni sono provocate anzitutto dalla mancanza di risorse per la popolazione (23 milioni di abitanti), la quale non ha mai tratto grandi benefici dalla presenza di materie prime (petrolio ma anche giacimenti minerari) presenti nel territorio. Le prime manifestazioni nella capitale Sana’a sono state subito duramente represse dal regime, attraverso la milizia fedele al Presidente Saleh, ma successivamente la situazione è peggiorata perché l’esercito si è schierato a fianco del popolo e contro il regime e la milizia presidenziale. Gli scontri sono degenerati causando nella giornata di martedì 13 morti, come riportato dall’agenzia Reuters, e mercoledì l’assedio al palazzo presidenziale si è trasformato in una vera e propria mattanza, con oltre 50 morti tra i manifestanti, cecchini pronti a sparare sulla folla e l’esercito che cerca di rispondere al fuoco. Giovedì una bomba nella città di Aden, nel sud, ha causato la morte di un poliziotto fedele al regime e il ferimento di altri sette, ed è probabile che presto ci sarà una ritorsione da parte dello stesso regime.

Verso la guerra civile. Il Presidente Saleh ha rilasciato alla Reuters una dichiarazione con cui annuncia di voler fissare libere elezioni nel gennaio 2012, con più di un anno di anticipo rispetto al termine naturale del mandato, con la promessa di procedere con riforme ispirate ad una maggiore diffusione dei diritti civili. Questa proposta è stata però respinta nettamente dall’opposizione, ormai decisa a voler andare fino in fondo ed ottenere la caduta del regime, anche attraverso lo scontro con la minoranza fedele a Saleh. Inoltre, da nord il generale Ali Mohsen, comandante della parte settentrionale del Paese, ha offerto collaborazione al popolo del sud sostenendo di essere l’ispiratore delle proteste nei confronti di Saleh, ma resta da capire se questa proposta sia finalizzata ad un successivo accordo sulla possibile nuova separazione in due stati indipendenti.

Il ruolo degli Usa e dell’Arabia Saudita. Principali partner commerciali e militari dello Yemen sono Usa e Arabia, i quali negli ultimi giorni si sono affrettati a difendere l’operato in politica estera di Saleh, definito dal segretario americano alla Difesa Gates “un alleato importante nella lotta al terrorismo”. Lo Yemen è considerato Paese a rischio infiltrazioni da parte di Al Qaeda e dallo Yemen sono partiti spedizioni ed attentati contro l’Arabia. Per questo gli Usa e i vicini sauditi sono molto preoccupati dall’escalation di violenza nel Paese. Ma proprio la necessità di avere comunque un partner affidabile nella lotta a Bin Laden ha portato Usa e Arabia a dichiarare la propria non interferenza nelle rivolte, attendendo lo sviluppo degli eventi.