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Diritto di critica | October 12, 2024

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Europee 2014, ma quanto pesano le inchieste?

Uno dopo l'altro, ecco tutti i politici "pizzicati" negli ultimi giorni dalla magistratura

Nell’asprezza – per dirla con Napolitano – di questi ultimi scampoli di campagna elettorale, Paolo Romano, presidente del consiglio regionale della Campania e candidato alle Europee col Nuovo centrodestra, è finito ai domiciliari con l’accusa di tentata concussione. A Romano vengono contestate pressioni per far nominare come direttore sanitario e amministrativo dell’Asl di Caserta persone di sua fiducia. Romano, nel corso di vari incontri avuti con l’attuale direttore dell’Asl di Caserta, Paolo Menduni, avrebbe fatto riferimento ad una sorta di accordo politico per la spartizione di incarichi di vertice nella pubblica amministrazione regionale. Il presidente del Consiglio regionale campano avrebbe anche esercitato pressioni e minacce su Menduni per costringerlo a revocare le nomine di dirigenti che non corrispondevano alle sue indicazioni.

È solo l’ultima inchiesta che incrocia in modo diretto o indiretto le imminenti elezioni europee 2014.

Tuttavia i processi mediatici che Beppe Grillo promette a politici e giornalisti sembrano spaventare di più di quelli che si prospettano nelle aule di giustizia. La sua presa sulle piazze e l’incognita elettorale sembrano monopolizzare in toto l’attenzione dei rivali. Ma in realtà sono proprio le inchieste ad aver portato fuori dalle secche il movimento dopo le critiche per l’assenza di democrazia interna seguite alla cacciata dei dissidenti. Sono state le manette ad aver amplificato e ricaricato le sfuriate del leader del M5S e potrebbero permettergli una crescita elettorale che magari non basterà a superare il Partito democratico, ma forse ad arrivargli molto vicino si. Con tutti gli effetti che ciò potrebbe avere sulla politica nazionale.

Secondo l’interpretazione che ne danno i giornali di centrodestra, questo si dovrebbe in primis alle “toghe grilline” (le ex toghe rosse oramai passate dalle sezioni ai meet-up) che a pochi giorni della tornata elettorale hanno messo dentro mezzo Expo 2015, l’ex ministro Scajola, il democratico Genovese. Senza dimenticare la condanna di Scopelliti e la “conseguente” candidatura alle Europee.

Ripercorrendo questa breve sintesi del lavoro della magistratura, negli ultimi tempi emerge, come al solito, che da noi le inchieste contano molto di più delle materie di cui si dovrebbe occupare una classe politica eletta appositamente per quello. Un po’ perché di certe cose in concreto non si parla – i candidati non le conoscono, o sostengono che annoiano l’elettorato -, un po’ perché l’enormità di alcune vicende giudiziarie travalica i confini imponendosi a forza.

Due giorni fa in tv c’erano i tre veri contendenti delle europee: Berlusconi su Rete 4, Renzi su La sette e Beppe Grillo – incontro attesissimo – da Bruno Vespa. Il primo giocava in casa, il secondo quasi, mentre il terzo – nella veste inedita di ospite in studio – ha avuto un confronto vero con un Bruno Vespa grintoso come raramente è capitato di vedere. Che abbiano vinto o perso alla fine in conta poco, a spostare i voti spesso sono altri fattori tra cui le inchieste.

Se si escludono le cornici in cui entrano nelle case degli italiani, infatti, nei comizi tv di nuovo c’è davvero poco. Frasi oramai sentite da giorni, propaganda mista a promesse che sanno di farsa, scuse e scarica barili a iosa, molto fumo, una gran confusione e tanta tanta incertezza sul da farsi.
Soprattutto pochissima Europa.

Da noi è la regola. Anzi, questa volta è andata un po’ meglio, se non altro per la drammatica attualità della crisi e del problema immigrazione. Ma poi, come al solito, a venire fuori è sempre e solo la politica nazionale, ma su questa e sulla sua vaghezza, le inchieste giudiziarie si sono abbattute come uno tsunami, nonostante i partiti coinvolti abbiano fatto di tutto e sfruttato al meglio i media per minimizzare e gettare acqua sul fuoco.

Che certe storie di malaffare abbiano prodotto anticorpi rendendo immuni molti cittadini è poco ma sicuro. Allo stesso tempo è chiara una cosa: a beneficiare delle inchieste e dei tanti nomi coinvolti sono solo coloro che non risultano coinvolti. E Grillo – è un fatto – è il meno coinvolto di tutti. E non già per la presunta superiorità morale, o per un’onestà sbandierata e ancora tutta da dimostrare ma, molto più semplicemente, perché il movimento è giovane e i suoi uomini sono politicamente privi di passato (i candidati alle Europee addirittura invisibili, di fatto non esistono) e per ora non hanno mai ricoperto posti di potere.

Al contrario, per il Partito democratico, Forza Italia, Nuovo centrodestra e Udc, c’è stato l’ennesimo colpo all’immagine. Nel caso dell’Expo 2015, inoltre, i nomi che più imbarazzano tornano dal lontano passato, dalla vecchia Tangentopoli. C’è Primo Greganti, il compagno G, che secondo i pm proteggeva le cooperative, ma di cui, incredibilmente, non sappiamo ancora, o non possiamo sapere, con chi si incontrasse in Senato, anche se sappiamo era lì ogni settimana. Un uomo – che non ha mai detto tutto quello che sa e c’è da scommettere non lo farà nemmeno stavolta – rispuntato da chissà dove, dopo esser stato avvistato a Torino ad un incontro di Chiamparino.

C’è anche Stefano Frigerio, democristiano di vecchia scuola, condannato per Tangentopoli. Divenuto berlusconiano doc e fatto eleggere nel 2001 da Forza Italia – sotto falso nome – in Puglia, ma subito fermato dall’esecutività della sentenza. Due nomi che arrivano dall’inizio degli anni ’90, quando ci si era illusi di aver stoppato il malaffare. Non è così e dovrebbe essere chiaro già da molto tempo.

Ma non ci sono solo loro. C’è l’ex parlamentare forzista Luigi Grillo. C’è Sergio Cattozzo ex segretario regionale dell’Udc già indagato. Ma non mancano nemmeno manager “liberi” come Angelo Paris e il già arrestato Antonio Rognoni che si sarebbero legati a chiunque e avrebbero promesso qualsiasi cosa pur di mantenere il posto o di fare carriera. Ci sono aree imprenditoriali politicizzate come le coop e gruppi legati a lobby abituate a vincere gare pilotate.

Ancora più misteriosa ed aperta a molti sviluppi è un’altra storia di questi giorni. Quella che vede per protagonista un nome di peso di Forza Italia: Claudio Scajola. Arrestato ufficialmente perché avrebbe aiutato la latitanza dell’ex parlamentare Pdl, Amedeo Matacena – condannato per concordo esterno in associazione mafiosa e indagato per riciclaggio dei proventi della mafia calabrese -, Claudio Scajola non è solo il padrone della famosa casa “pagata a mia insaputa” – per cui è stato assolto, ma è già stata chiesta la riapertura – ma anche l’uomo che aveva definito il giuslavorista Marco Biagi “un rompi coglioni”. Già, infatti, prima di essere ammazzato, Biagi aveva chiesto la scorta e lui, Scajola, gliela aveva negata. Quindi il professore era stato assassinato dalle Br, mentre Scajola aveva conservato la sua scorta – utilizzata anche per accompagnare la moglie indagata di Matacena, la bella Chiara Rizzo da cui l’ex ministro ligure era “soggiogato” – fino al momento dell’arresto. A Forza Italia negano, ma forse qualche voce dalla procura deve essere giunta, se è vero che a Scajola era stata negata la candidatura. Un vero colpo di fortuna per gli azzurri, dato che la sua posizione si fa ora più difficile. Non solo per l’ombra delle ‘ndrine calabresi in rapporti con Matacena, ma anche per il ritrovamento di archivi ancora da decifrare. Tra cui figurano, addirittura, dei documenti portati via dal Viminale e trovati nella casa del capo della sua segreteria (un ex prete) e in quella di un agente dei servizi segreti. Tra questi ci sono carte che riguarderebbero, guarda caso, proprio quel “rompi coglioni” di Marco Biagi. Perché? Lo sapremo mai? Certo che per uno considerato l’organizzatore di Fi, già ministro dell’Interno (al tempo del G8 di Genova) e dello Sviluppo Economico e, soprattutto, alla presidenza del Copasir, quindi a conoscenza di buona parte dei misteri dello Stato italiano (ruolo che dopo le ultime elezioni avrebbe dovuto essere dei grillini), sono circostanze a dir poco inquietanti.

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