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Diritto di critica | April 19, 2024

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Il difficile futuro di Alitalia

Licenziamenti e tagli, per la nostra compagnia di bandiera il matrimonio con Etihad sarà un percorso a ostacoli

Più di 2200 licenziamenti per salvare Alitalia. Ad affermarlo lo stesso amministratore delegato della compagnia, Gabriele Del Torchio, che non lascia alcuna speranza, qualora qualcuno ne avesse ancora. Ethiad, la compagnia degli Emirati Arabi, non farà sconti: il sacrificio ci sarà e sarà doloroso. Un investimento di 560 milioni di euro per acquistare il 40% della nostra compagnia di bandiera. Un licenziamento di massa come precondizione per salvare altri 11mila posti di lavoro.
Esclusa la cassa integrazione a rotazione, per gli esuberi bisognerà trovare una soluzione che al momento non sembra facile da raggiungere. In pratica, o se ne fa carico il governo, o per queste persone, di certo, c’è solo il licenziamento. Il salvataggio di Alitalia mostra adesso il suo vero volto e non è un bel vedere: 2285 esuberi – quasi mille e cento dipendenti del personale di terra, circa 400 tra assistenti di volo e piloti, oltre alle 787 casse integrazioni volontarie a zero ore – che faranno scendere il numero dei lavoratori dagli attuali 13755 dipendenti a 11470.
Per oggi è previsto l’incontro con i sindacati per discutere degli ammortizzatori sociali e del contributo obbligatorio al fondo volo. Un problema non da poco, dato che i primi peseranno sui malmessi conti pubblici, mentre i secondi graveranno sui biglietti aerei. Un calcolo tutt’altro che semplice. Infatti, da un lato, bisognerà vedere l’effettivo peso sulle casse statali e, dall’altro, andrà tarato nuovamente l’aumento sui biglietti. Dato che i 2 – 3 euro in più, già oggi compresi nel prezzo, potrebbero non essere più sufficienti per arrivare a coprire l’80% dello stipendio del personale in esubero.

Gli scogli, però, non finiscono qui.

L’Europa ci attende al varco. La Commissione Trasporti è pronta a vigilare sull’assetto proprietario che scaturirà dall’operazione e starà attentissima affinché la maggioranza resti in mani europee. Mentre l’Antitrust Ue ha già drizzato le antenne per l’intervento di Poste, sospettato di essere un aiuto di Stato mascherato.

Ma non è tutto, visto che l’ultimo cda Alitalia, oltre ad approvare il bilancio (di cui non ha reso noti i numeri), ha comunicato “accantonamenti e svalutazioni per 233 milioni di euro, in preparazione – si legge – di future strategie”. Di chiaro c’è soltanto un nuovo elemento negativo, che, sommato ai 300 milioni di perdite per l’esercizio 2013, potrebbe voler dire aver già bruciato l’aumento di capitale da 300 milioni operato a dicembre.

Adesso, con l’ingresso di Etihad, i soci saranno chiamati ad affrontare un nuovo gravoso aumento di capitale. Anche qui i dubbi non sono pochi. In particolare per quanto riguarda Poste. Dopo i 75 milioni messi a disposizione dall’ex numero uno, Massimo Sarmi, e fatti passare come investimenti utili a creare sinergie, il nuovo ad, Francesco Caio, non sembra pronto ad accettare a scatola chiusa. Caio è stato chiaro: vuole valutare attentamente ogni ulteriore investimento, anche alla luce dei ritorni economici effettivi prodotti e del piano industriale dell’azienda.

Inoltre, il gruppo degli Emirati vorrebbe accollare i debiti gestionali ai vecchi proprietari, ma ha chiesto anche la rinegoziazione di gran parte del debito Alitalia. Su un totale di un miliardo di euro di debiti, Ethiad chiede di ridiscutere 565 milioni. Argomento molto delicato, soprattutto in attesa della schiarita con le banche. L’ad di Alitalia – Gabriele Del Torchio – valuta positivamente il proseguire della trattativa. Di fatto, però, sebbene Unicredit e Intesa (nel doppio ruolo di soci e creditori Alitalia) si siano detti disponibili ad alleggerire la loro posizione, non c’è ancora nessun accordo unitario, a fronte di crediti ingenti vantati dagli istituti: Intesa 280 milioni, Unicredit 140, Banca Popolare di Sondrio 90, Mps 55.

Ora l’ipotesi su cui si sta lavorando è la cancellazione di un terzo (180 milioni) del debito da rinegoziare e la conversione in azioni (con un convertendo in 2-3 anni) dei restanti due terzi (380 milioni). Un boccone che per le banche si preannuncia quantomai amaro e difficile da digerire e su cui ci sarebbero forti pressioni del governo.

Va da sé che se tutto ciò è considerato “conveniente”, forse il futuro di Alitalia è davvero all’ultimo passo. In un verso o in un altro.

@virgiliobart