"Ora l’Egitto nasce di nuovo. Pronti per la vera democrazia” - Diritto di critica
“Ora l’Egitto nasce di nuovo: stiamo cambiando la Costituzione, per realizzare una vera democrazia. Vogliamo una politica che, finalmente, sappia ascoltare il popolo e soprattutto i giovani. Il nostro modello? La Turchia, un paese in cui i cittadini possono scegliere realmente”. Amr Mossad, 29 anni, egiziano, dottorando in agraria all’Università di Palermo (“grazie a un accordo con l’Università del Cairo”), ha seguito la rivoluzione su internet e sui social network: “Sarei voluto tornare, ma stavo preparando la tesi del dottorato (“il 22 marzo ho la presentazione finale”): in quei giorni, non riuscivo più a scrivere dall’eccitazione, dovevo collegarmi ogni momento ad Al Jazeera e alla Bbc araba”. Ora, finalmente, “gli egiziani vivranno meglio. Da quando non c’è più Mubarak, la città è anche più pulita: prima, buttavano le carte fuori dai cassonetti, quasi come una protesta nascosta”.
Una rivoluzione partita soprattutto per l’influsso dei coetanei tunisini: “A un certo punto ci siamo chiesti: perché loro ci sono riusciti e noi non ancora? Se non fosse stato per loro, avremmo lasciato Mubarak al potere, la nostra generazione ormai era abituata a lui, non abbiamo mai conosciuto un altro presidente. E poi avevamo una certa libertà, a differenza dei tunisini”. Così “i giovani si sono mobilitati su facebook, dove hanno trovato una via di fuga: lì potevano davvero esprimere il loro pensiero, riuscendo a superare i controlli attraverso nomi falsi”. Così, qualche giorno dopo, “sono scesi in piazza, a gruppi di 5 (“come imposto dalla legge di emergenza”), per dire il loro no a Mubarak. Lui ha fatto bene nel primo periodo, ma 30 anni sono troppi: nessuno può sopportare uno stesso presidente per così tanto tempo”. Il suo errore più grande? “Ha falsificato i voti, ignorando il ruolo del Parlamento; ha dimostrato tanta forza solo contro l’estremismo, ma non ha saputo ascoltare il popolo”. E i giovani sono stati i più penalizzati: “Non ha mai capito le nostre esigenze”.
Ora, si guarda avanti, con ottimismo: “Nessun caos, il paese è controllato dall’esercito, ma solo temporaneamente (non c’è quasi più polizia, che si è ritirata dopo aver sparato sui manifestanti). L’esercito è in grado di gestire la situazione, è sempre stato rispettoso anche verso gli altri popoli. Il paese sta andando verso la nuova Costituzione: si potrà candidare più di una persona, i mandati potranno essere non più di due e si vuole abolire la legge di emergenza che impedisce di manifestare. Così finalmente, ci saranno più di 5 persone per strada”. Nel frattempo, “aspettiamo le prossime elezioni. Di certo, compariranno nuovi volti al potere”. I possibili candidati? “Noi egiziani speriamo in El Baradei, già premio nobel per la pace (ex presidente dell’Agenzia nucleare mondiale), una persona in gamba, non una figura militare. E poi c’è Amr Moussa, capo della Lega araba: era stato allontanato da Mubarak perché aveva idee troppo vicine al popolo”.
“Cosa ci aspettiamo? Una vita migliore, più libertà di scelta. Abbiamo tutte le risorse, non ci manca niente: l’Egitto è un paese ricco, ha cultura, turismo, petrolio. Chiediamo che chiunque arrivi al governo, usi il potere per fare del bene e non per rimanere incollato alla sedia. Così, dovrebbero comportarsi i veri politici: Mubarak diceva di essere un padre, ma un padre non ammazza i propri figli. Lui invece, durante la rivoluzione, ha liberato alcune persone dal carcere, per scatenare le violenze”.
Rispetto al resto del Nord Africa, l’Egitto “può pensare realmente alla democrazia, perché ha un’importante tradizione politica. La Tunisia invece è povera, ha investito solo sul turismo e non sulle infrastrutture”. Un paese già al collasso, quello tunisino, aggravato dalle migliaia di profughi egiziani, che proprio in questi giorni, stanno scappando dalla Libia: “Il governo egiziano è in grado di gestire la situazione: ma, per garantire il rimpatrio, occorre tempo, perché sono troppi. Il Ministero della Salute egiziano, in queste ore, si sta impegnando per l’allestimento di un ospedale da campo”.
E la preoccupazione per i connazionali rimasti in Libia è forte: “Non so cosa succederà in quel paese, perché Gheddafi non accetta l’idea che il suo popolo non lo voglia. Sarebbe capace di ammazzare tutti e rimanere da solo. E’ uno squilibrato: è arrivato a sostenere che il termine democrazia deriva dall’arabo, anziché dal greco, e significherebbe Rimanete sulla sedia”.
Programmi futuri? “Tornare in Egitto: amo il mio paese ed è lì che voglio vivere. Gli egiziani sono sempre sorridenti. L’esperienza in Italia è stata bella, ma è un paese che ha raggiunto il massimo della curva economico-sociale, mentre l’Egitto ha molte più prospettive di sviluppo. Ora che torno al Cairo, so che troverò carri armati dappertutto, ma sono convinto che, dopo qualche mese, la situazione migliorerà”.
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